Bernardo Valli racconta su Repubblica la Tunisia post rivoluzione. Dopo essere stata il detonatore delle rivolte arabe, scrive Valli, la Tunisia “oggi è un Paese in bilico, segnato dalle lacerazioni”.
Sotto il titolo “La primavera rubata”, il reportage ha questo inizio:
“È ancora primo mattino e l’uomo al tavolo accanto beve già una birra. Più dell’ora, che è quella del caffè, colpisce la barba folta del cliente. Un intellettuale tunisino, mio vecchio amico, la giudica una barba islamista. Lui se ne intende. È la prima, banale ma non tanto insignificante, contraddizione in cui mi imbatto arrivando in questa città che mi è familiare, e che temevo di ritrovare ferita, in preda al dramma, insanguinata dall’assassinio di Chokri Belaid, il capo di un partito di sinistra, incollerita dalla rivoluzione nata laica e poi scippata da chi sogna di imporre i principi coranici dettati dall’arcangelo Gabriele mille quattrocento anni fa.
E invece la barba islamista del bar Univers mi sembra un segnale modesto ma rassicurante. Se nel cuore della capitale un militante islamico, tra le cui aspirazioni dovrebbe esserci anche quella elementare di proibire l’alcol, si esibisce in pubblico davanti a un bicchiere di birra, significa che i giochi non sono ancora fatti. La rivoluzione è in mezzo al guado. Non pochi tunisini angosciati vedono gli islamisti dappertutto, non solo nei posti chiave dello Stato ma anche sotto il letto, perché pensano che col tempo cercheranno di trasformare i privati cittadini in fedeli.
“Eppure la rivoluzione rubata non ha una netta impronta repressiva. È una minaccia rampante. L’espressione ritorna spesso nelle conversazioni. Per il momento la libertà di espressione si manifesta con vivacità”.