ROMA – L‘intervista di Antonio Esposito è un’intervista sbagliata. Il primo presidente della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, l’ha definita “inopportuna”. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha chiesto lumi alla Cassazione. Un giudice della Cassazione che dà in anteprima al Mattino le motivazioni (almeno la principale) per la condanna di Berlusconi non poteva non essere caso politico del giorno.
Succede che Antonio Esposito, uno dei giudici che ha condannato Berlusconi per il caso Mediaset, si fa intervistare dal Mattino. E si lascia sfuggire che “Berlusconi è stato condannato perché non poteva non sapere”. Testualmente, l’intervista attribuisce ad Esposito il seguente periodo:
”Tu venivi portato a conoscenza di quello che succedeva, tu non potevi non sapere, perchè Tizio, Caio e Sempronio hanno detto che te lo hanno riferito. È un po’ diverso dal non poteva non sapere”.
Frasi che Esposito ha successivamente smentito di aver pronunciato, ma ormai il caos era cominciato.
E così, in un primo momento l’Ansa cita “fonti vicine alla Cassazione” che sembrano sminuire l’accaduto: dette o non dette, le parole di Esposito non possono mica modificare la sentenza.
Di ben altro tono l’intervento di Santacroce: “Reputo l’intervista rilasciata comunque in sè inopportuna. Ogni altro chiarimento – conclude Santacroce – è stato fornito al ministro della Giustizia”.
Eh già, perché nel frattempo anche la Cancellieri non ha mandato giù questa “fuga di notizie”.
Dal punto di vista politico, sdegnate le reazioni del Pdl e degli avvocati di Berlusconi. Franco Coppi ha provocato: “Visto che ormai il ghiaccio è stato rotto, Esposito dica anche chi sono gli informatori del Cavaliere. Ci dica nomi e cognomi e gli atti del processo da cui risultano queste dichiarazioni. Se si parla della motivazione prima ancora che sia depositara, allora dica tutto…”.
Niccolò Ghedini ha invece detto:”Il fatto in sé è ovviamente gravissimo e senza precedentì. Gli organi competenti dovranno urgentemente verificare l’accaduto che non potrà non avere dei concreti riflessi sulla valutazione della sentenza emessa”
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