ROMA – Dopo la diffusione del rapporto Istat sui prezzi al consumo, c’è una grande enfasi sui giornali italiani riguardo alla deflazione, così come è successo per il dato negativo sul Pil del secondo trimestre 2014. Sembra quasi che l’Istat voglia giocare uno scherzo a Renzi, mostrandogli i numeri di un Paese in crisi a dispetto dell’ottimismo del premier e del bonus da 80 euro.
L’economista Francesco Forte ha fatto notare qualcosa non quadra nei numeri forniti dall’Istituto di Statistica: è difficile che il dato del Pil sia negativo (-0,2%) mentre il dato della produzione industriale è positivo (+0,9%). Produzione industriale e Pil viaggiano di solito a braccetto. Secondo Forte inoltre il calo del Pil è solo congiunturale (trimestre confrontato con trimestre precedente) e non tendenziale (anno confrontato con anno precedente).
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Tornando ai titoloni sulla deflazione, va premesso che l’Italia non è in deflazione: i prezzi diminuiscono in 10 grandi città, ma il dato nazionale dice che l’inflazione c’è, anche se solo dello 0,1%.
Quanto al calo dei prezzi, è ampiamente giustificato da due fattori: il primo, più che positivo, è la concorrenza, che abbassa i costi in settori “pesanti” come quello energetico e quello delle comunicazioni, nei quali il rallentamento dei prezzi è più netto. Il secondo è l’onda lunga della crisi economica e dell’austerità, che non può non aver portato a una contrazione dei consumi.
Ma, guardando i dati nel dettaglio, c’è di che riflettere prima di parlare di un Paese che non spende perché in recessione. Perché aumentano i prezzi in settori come l’abbigliamento (+0,7% in un anno), la ristorazione (+0,9%), i mobili e servizi per la casa (+1,0%): sono spese che i cittadini di un Paese veramente in crisi e impoverito eviterebbero. Invece gli italiani comprano vestiti, vanno a mangiare fuori e rinnovano l’arredamento della casa: saranno pieni di problemi, ma non sono ridotti in miseria così come vuol farci credere l’Istat.