Maurizio Lupi non si dimette: ecco perché gli italiani non votano più

Maurizio Lupi non si dimette: ecco perché gli italiani non votano più
Maurio Lupi non si dimette E gli italiani non votano più

ROMA – Solo in Italia può succedere che un ministro, travolto da uno scandalo come quello di Maurizio Lupi ai Lavori pubblici, resti attaccato come una patella alla poltrona.

Nelle stesse ore che sui siti italiani si leggeva dell’autodifesa di Lupi, peraltro poi sbugiardata dai giudici di Firenze, che lui non aveva chiesto nessun favore e averli accettati non era una colpa; si leggeva l’incauta e deludente difesa di Flavio Tosi, sindaco neo dc di Verona e aspirante condottiero dei moderati; si leggeva del prudente, politicamente accorto ma demagogicamente pericoloso strisciare i piedi di Matteo Renzi che vorrebbe sì le dimissioni ma non azzarda chiederle, in quelle stesse ore negli Usa Aaron Schock, deputato dell’Illinois, annunciava le dimissioni perché cittadini e giornali gli chiedevano conto dei soldi della campagna elettorale spesi per arredarsi l’ufficio in stile serie tv Downton Abbey.

Molto ma molto meno, quindi, di miliardi di appalti e di soldi di tutti gli italiani che pagano le tasse, regalati in appalti e direzioni lavori agli amici degli amici, come ha fatto Maurizio Lupi.

C’è da essere furibondi. Agli occhi di chi lo stimava, Flavio Tosi ha perso molti punti dicendo:

“Si rischia di fare il linciaggio di una persona che secondo la giustizia è innocente e non è neanche indagata. Lupi non è indagato. Questo è il punto. C’è gente che ha un pacco di soldi e fa regali da 10mila euro. Non gli hanno dato 10mila euro, che sarebbe una tangente, ma hanno fatto un regalo al figlio perché hanno un pacco di soldi”.

Per un uomo politico, e Tosi dovrebbe saperlo, non c’è solo la giustizia penale a valere. La giustizia morale, quella della società, dei cittadini, non dei giudici, vale a prescindere e deve essere alla base del rapporto di fiducia fra italiani e politica. Se questa viene meno, inutile stupirsi che non si vada più a votare.

Quanto alla posizione di Matteo Renzi, rottamatore un po’ in disarmo e per necessità di equilibrio politico un po’ troppo pattinatore, Fabio Martini sulla Stampa di Torino chiarisce:

“È con un tono ancora amichevole che Matteo Renzi in queste ore sta cercando di convincere Maurizio Lupi a mollare. Nelle chiacchierate telefoniche Renzi ha lavorato ai fianchi il suo ministro, lo ha fatto ragionare sulle cattive sorprese che l’inchiesta potrebbe ancora riservare, gli ha chiesto se ci siano lati oscuri che potrebbero aggravare la situazione e alla fin fine gli ha fatto capire che sarebbe meglio fare un passo indietro. Renzi fortissimamente vuole che Lupi si dimetta, ma non ha affondato, non gli ha ancora chiesto in modo formale le dimissioni. una richiesta che fatta in tono ultimativo non darebbe scampo al ministro.

Se Renzi, per ora, usa le buone maniere un motivo c’è. Il premier non ha ancora affondato, perché spera che sia il suo ministro a rassegnare le dimissioni, più o meno spontaneamente. Dimissioni imposte d’imperio, Renzi lo sa, segnerebbero uno strappo con l’Ncd e con Lupi in particolare, uomo di punta di Cl, movimento ramificato, di potere, ancora forte in Lombardia. Al Senato sono pochi i seguaci di Lupi ma al Senato non si scherza. Certo, le minacce attribuite genericamente a Lupi, attenti che così cade il governo, hanno fatto imbufalire Renzi, ma non cambiano la strategia: a palazzo Chigi vogliono che l’operazione-sgancio sia la più soft possibile.

Comunque vada a finire questa storia, in cuor suo Renzi una decisione strategica l’ha già presa: la Struttura tecnica di missione, la cabina di regia di tutte le grandi opere, passerà presto dal controllo del ministero delle Infrastrutture a quello di Palazzo Chigi. Tutte le grandi opere – dalla Tav all’Expo, dal Metro C di Roma a quella di Milano, ma anche tutti i grandi tratti autostradali – fino ad oggi sono passate al setaccio del Coordinamento presso il ministero delle Infrastrutture, con una gestione che nei mesi scorsi aveva allarmato Palazzo Chigi e, dietro le quinte, aveva portato ad uno scontro tra Renzi e Lupi.

Uno scontro del quale si trova traccia nelle carte dell’inchiesta, in particolare in un colloquio, nel quale il ministro Lupi ad un certo punto, riferendosi alla Struttura tecnica, dice al suo amico Ercole Incalza: «Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura non c’è più il governo! L’hai capito, l’hanno capito?!”». Ora Renzi sarebbe intenzionato a portare a complimento l’operazione bloccata mesi fa per l’opposizione del ministro delle Infrastrutture: o tenendosi per qualche tempo l’interim o spostando il coordinamento a palazzo Chigi.

In entrambi i casi l’uomo più indicato per guidare la struttura sembra essere Luca Lotti, il sottosegretario alla Presidenza che al Governo ha confermato le caratteristiche, di affidabilità e di efficienza operativa, che ne avevano fatto l’uomo di fiducia di Renzi a palazzo Vecchio”.

Gestione cookie