Renzi, cambiate le carte, lo hanno messo in mezzo, manovra da 25 md, più vincoli

Renzi, cambiate le carte, lo hanno messo in mezzo, manovra da 25 md, più vincoli
Federico Fubini su Repubblica: A Renzi hanno cambiato le carte in tavola, lo hanno messo in mezzo, manovra da 25 md, più vincoli

ROMA – Allarme stangata da 25 miliardi in autunno. Il grido, un po’ soffocato dalle convenienze, è di Repubblica, che pure non è certo giornale ostile al Governo Renzi.

Inutile illudersi, sui vincoli del Fiscal compact, firmato in modo irresponsabile da Giulio Tremonti sotto l’egida di Berlusconi e da Mario Monti, condannandoci a vent’anni di stangate da 20 miliardi di euro l’una (per il 2014 si sono aggiunti i 5 miliardi del bonus Irpef da 80 euro) in assenza di boom economico, la Germania e l’Unione europea non intendono mollare.

C’è di peggio, su Repubblica, che si potrebbe sintetizzare in quel vecchio adagio, adattato al caso: Renzi andè a Ypres per suonare e tornò suonato”.

Con una punta di masochismo, se è vero quel che scrive Federico Fubini: che il documento sul pareggio di bilancio dell’Italia approvato da Matteo Renzi è più vincolante della bozza proposta. Viene il dubbio che il giovane primo ministro sia stato talmente veloce nella lettura da saltare qualche vitale dettaglio.

O, peggio ancora, qualcuno dell’apparato statale ha remato contro e Renzi non è stato in grado di controllarlo. Cose da Sant’Uffizio: ma a leggere qui sotto quel che ha scritto Federico Fubini non vengono dubbi ma certezze.

Il titolo di Repubblica, è lampante:

“Ma la Ue all’Italia: pareggio nel 2015. Malgrado l’accordo sulla flessibilità, le raccomandazioni del Consiglio sono più rigide di quelle di inizio giugno. Così l’Italia rischia di dover varare in autunno una manovra correttiva da almeno 25 miliardi”.

Sotto un articolo di Federico Fubini, che fa il paio con una intervista di Eugenio Occorsio a Daniel Gros, direttore del Ceps di Bruxelles (Centre for European Policy Studies).

Federico Fubini guarda a ottobre e alla manovra finanziaria in arrivo. Il Governo italiano sta trattando, ma
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“per il momento non sta andando come il governo avrebbe voluto: i documenti ufficiali dicono che sul proprio specifico piano di finanza pubblica il governo non ha ottenuto la «flessibilità» che chiedeva.
La posta in gioco è quella che ha dichiarato Pier Carlo Padoan nella sua lettera alla Commissione europea del 16 aprile scorso: l’obiettivo del pareggio «strutturale », ossia scontando l’impatto della recessione da cui il Paese è appena uscito, sarebbe slittato di un anno. Padoan scrisse che l’Italia avrebbe raggiunto il pareggio nel 2016, non nel 2015 come concordato in precedenza.

Non si tratta di un dettaglio da poco, perché ne va della taglia della correzione che dovrà imporre la Legge di bilancio in arrivo ad ottobre. Con lo slittamento degli obiettivi al 2016, poteva essere meno pesante. Senza, la manovra d’autunno rischia di profilarsi invece come un’operazione da circa 25 miliardi: quanto serve a coprire il bonus Irpef e gli altri impegni presi dal Governo, senza perdere il controllo del debito pubblico.
Lo spazio sul debito del resto è ridotto: ieri è emerso che nei primi quattro mesi dell’anno il debito è cresciuto di 77 miliardi, ossia quasi quanto in tutto il 2013. Quest’anno il volume dell’onere dello Stato salirà a quota 2150 miliardi e, superando la Germania, sarà terzo al mondo per volume finanziario dopo Stati Uniti e Giappone. Solo l’anno scorso, i contribuenti hanno pagato 82 miliardi solo in interessi sul debito dello Stato e nel 2014 replicheranno.
Il negoziato in corso a Bruxelles si innesta qui. La novità passata sottotraccia nel vertice appena concluso è che la proposta del governo di rinviare il pareggio di bilancio per ora è stata respinta. Addirittura i leader, incluso il premier Matteo Renzi, hanno dato il loro « endorsement » (appoggio, approvazione) a un documento ufficiale che raccomanda all’Italia di fare l’opposto di ciò che aveva chiesto: il pareggio già l’anno prossimo, non nel 2016. Si tratta del testo della «raccomandazione del Consiglio» (cioè dei governi) su proposta della Commissione europea riguardo al programma di stabilità italiano. Si tratta di una risposta ragionata degli altri Paesi al piano finanziario dell’Italia, come si fa per tutti i governi.
Quella raccomandazione contiene una sorpresa importante, perché è più intransigente persino di quanto suggerito dalla Commissione europea. Quest’ultima aveva chiesto all’Italia il due giugno: «Nel 2015 (bisogna, ndr) rafforzare in modo significativo la strategia di bilancio per garantire le esigenze di riduzione del debito». Quel testo ora è stato inasprito e ieri i capi di Stato e di governo hanno dato il loro endorsement al più alto livello politicolegale in Europa.

Le modifiche sono state apportate in una riunione del Comitato economico e finanziario a Bruxelles. Presieduto dall’austriaco Thomas Wieser, il Comitato Ecofin riunisce i direttori del Tesoro di tutti i Paesi per preparare le conclusioni dei vertici dei ministri finanziari: per l’Italia partecipa il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via, anche se la cooperazione fra Palazzo Chigi con le strutture tecniche del ministero dell’Economia in questi mesi è stata molto meno che eccellente.
Di solito nel Comitato Ecofin si negozia fra sherpa per diluire, non per inasprire, le proposte di raccomandazione ai Paesi avanzate dalla Commissione europea. Questa volta all’Italia è accaduto l’opposto. Il testo ora recita: «Nel 2015 (…) Il Consiglio raccomanda all’Italia di garantire le esigenze di riduzione del debito e così raggiungere l’obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio strutturale, ndr) ».

Non solo. Si chiede anche di «assicurare il progresso» verso il pareggio già nel 2014. In sostanza si chiede una maggiore correzione dei conti già quest’anno e si respinge la richiesta di slittamento del pareggio per il prossimo.
Era stato evidente dall’inizio che la strategia di bilancio del governo Renzi sollevava forti perplessità nel resto d’Europa, come anticipato da Repubblica ( «I dubbi di Bruxelles sul piano Renzi», 20 aprile). Il fatto che la lettera di Padoan in aprile non ebbe una prima risposta a livello politico, ma burocratico, era già una prima spia proprio di un problema politico, non uno sgarbo personale al ministro. Adesso i nodi sono venuti al pettine. Non sarà facile ribaltare gli equilibri, dopo il via libera di ieri dai capi di Stato e di governo dell’Unione. Ma il vertice Ecofin del prossimo mese si annuncia tempestoso, perché tutto si deciderà lì”.

Sullo stesso tono è l’intervista di Eugenio Occorsio a Daniel Gros, che dice:

“Mi sembra fuori luogo, o perlomeno prematuro, quest’ottimismo sulla “conseguita flessibilità” in Europa.

Perché tutti parlano di accordo fra Stati? insiste lo smarrito Occorsio. Rispnde Daniel Gros:

“C’è solo una sorta di intesa fra il premier italiano e il cancelliere tedesco sul relativo ammorbidimento di alcuni parametri ma nulla è deciso, tutto andrà verificato con la nuova Commissione”.

Daniel Gros, precis Eugenio Occorsio, è tedesco, si laureato in economia alla Sapienza di Roma prima di andare a prendere il PhdD a Chicago. Ora è direttore del Ceps di Bruxelles (Centre for European Policy Studies). Dice:

“Attenzione perché non basterà neanche l’appoggio del presidente Juncker, che pure è stato nominato con il decisivo appoggio italiano e tedesco, perché servirà una maggioranza forte all’interno della Commissione e soprattutto la convinzione ferma del nuovo commissario agli Affari Economici che, come insegna Olli Rehn, è molto più potente del successore di Barroso”.
Aggiunge Daniel Gros:

“Le regole comuni fissate con il Six Pack sono molto rigide, precise e cogenti. L’Italia è stata fra i più convinti sostenitori di esse, ora vuole disattenderle? E gli altri, alla prima occasione le bypassano? Non si possono fare e disfare le norme a seconda degli accordi politici. Renzi è stato molto bravo nel suo approccio all’Europa. Ha condotto una campagna elettorale basata non sulla lamentazione perché l’Ue è un “cattivo tiranno” ma tutta in positivo sull’idea dell’integrazione, e ha conseguito una vittoria nettissima. A lui va buona parte del merito se nel Parlamento di Strasburgo c’è una solida maggioranza pro-Europa. Ora però deve fare un uso attento del suo prestigio e non favorire lo scavalcamento di regole comuni che sono invece molto preziose. Mi sembra un po’ arbitrario pretendere che le riforme diano automaticamente diritto alla flessibilità”.

I numeri di Daniel Gros fanno cadere le braccia. Cosa potrà ottenere l’Italia? si chiede:

“Lo 0,1-0,2% in più? Sarebbe produttivo invece provare a convincere la Germania a spendere di più. È l’unica che se lo può permettere: dovrebbe investire sulle sue infrastrutture, sul mercato interno, la produzione industriale. Allora sì che i benefici per tutta l’Unione sarebbero evidenti e tangibili. Sarebbe una bella prova di unità: quasi miracolosamente da un sondaggio post-elettorale è uscito che il 40% degli europei ancora crede nel Parlamento di Strasburgo, più degli americani che credono nel Congresso. Non dissipiamo questo patrimonio”.

Il problema che Matteo Renzi vorrebbe un po’ di soldi per fare una bella imbarcata di impiegati statali, regionali e comunali e dare un lavoro, o meglio un posto, a quei tanti giovani che non se lo cercano nemmeno. È quello che fece Tony Blair in Inghilterra, ma fu aiutato da uno dei più impressionanti boom della storia mondiale, in un Paese dove era passato il ciclone Thatcher, pieno di voglia di crescere, comunque sempre più ricco di patrimonio ereditato e di voglia di fare di quanto sia questa povera Italia.

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