Oggi ha 105 anni, l’anno scorso ha perso la vista e cammina con difficoltà: è Brunhilde Pomsel, dal 1942 fino alla fine della guerra una delle quattro segretarie di Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del nazismo.
Brunhilde Pomsel, che ora vive in una pensione per anziani in un sobborgo di Monaco, non aveva mai parlato della sua esperienza a stretto contatto col braccio destro del Führer fino al 2011, quando, dopo 66 anni, ha rotto il silenzio con un’intervista rilasciata al quotidiano tedesco Bild durante la quale affermò pubblicamente di essere stata all’oscuro di quanto stava realmente accadendo agli ebrei.
Ora è in un documentario in bianco e nero che Brunhilde Pomsel racconta la sua vita e la sua esperienza nel Terzo Reich: Ein deutsches Leben (Una vita tedesca), un filmato di un’ora e quarantasette minuti, estratto da trenta ore di riprese, che rispecchia le grandi rotture storiche del ventesimo secolo e la vita tedesca successiva.
Il film è la testimonianza privilegiata di chi ha visto cose accadute nelle stanze del potere, a stretto contatto con i più alti gerarchi nazisti, quelli che erano a fianco di Adolf Hitler.
La segretaria di Joseph Goebbels, il regista del Terzo Reich, l’uomo che riuscì a legare la volontà di Adolf Hitler alla volontà della nazione, che seppe creare apparati di propaganda suggestivi e fomentatori delle masse, che seppe far vivere nel popolo tedesco i simboli che sostenevano l’ideologia nazista, Brunhilde Pomsel descrive se stessa come una semplice figura marginale e per niente interessata alla politica sebbene sia stata, più di chiunque altro ancora in vita, la più vicina a quello che è considerato uno dei peggiori criminali della storia mondiale.
Era stata notata dal ministro della Propaganda durante il suo lavoro all’emittente Berliner Rundfunk e fu praticamente costretta ad essere la segretaria del gerarca: ”Ero una delle più veloci stenodattilografe dell’ufficio. Non avrei potuto rifiutare, forse solo se avessi avuto una malattia contagiosa. Era un comando”.
Era un impiego ben pagato, racconta “Guadagnavo 500 marchi al mese.Nuotavo nel denaro, l’unico cruccio era che non ci fosse niente da comprare”
Assistente di fiducia di Joseph Goebbels e responsabile della sua corrispondenza, si trovava nel cuore del regime nazista ma sostiene di essere stata all’oscuro dell’Olocausto, nonostante una delle sue più care compagne di scuola sia morta ad Auschwitz.
Brunhilde Pomsel si trovava all’interno del bunker costruito sotto il palazzo del Terzo Reich a scrivere gli ordini di Goebbels fino a un momento prima che questi sparasse a sua moglie e poi rivolgesse la pistola contro se stesso. La coppia aveva prima ucciso i suoi sei bambini rompendo capsule di cianuro nelle loro bocche. E si trovava nel bunker quando Adolf Hitler ed Eva Braun si suicidarono col cianuro mentre le truppe russe già avanzavano nelle strade della città.
“Ero nel bunker quando il luogotenente Schwägermann, l’assistente di Goebbels è arrivato e ci ha detto: Hitler si è suicidato”. Quella fu la prima cosa di cui venimmo a conoscenza. Sì, tutti noi sapevano cosa volesse dire: la guerra era finita e noi avevamo perso. Questo era chiaro a tutti noi. Posso ricordare che dopo un lungo lasso di tempo, almeno un giorno e una notte, Schwägermann venne e disse: Goebbels si è suicidato. La notizia ci colpì più delle altre. E quando chiedemmo: e anche sua moglie? Lui rispose: sì, ed anche i bambini. Eravamo senza parole.”
Brunhilde Pomsel, che ora vive in una casa per vecchi in un sobborgo di Monaco, era presente al suo famigerato discorso di ‘Total War’ a Berlino 1943 in seguito alla catastrofica sconfitta dell’esercito tedesco a Stalingrado.
In Ein deutsches Leben si racconta come dopo il suicidio di Hitler, che avvenne il 30 aprile del 1945, il primo maggio di quell’anno i russi entrarono nel bunker e “trascinarono” fuori Brunhilde Pomsel che fu portata in campi speciali russi dove trascorse cinque anni di prigionia.
Quando fu rilasciata riprese il suo lavoro di segretaria alle dipendenze del direttore dei programmi dell’emittente di Stato, fino a quando si ritirò dal lavoro a sessant’anni.
Pomsel racconta come, mentre Berlino cadeva
“nel bunker ci si doveva preoccupare che non si rimanesse a corto di alcolici al fine di mantenere l’intorpidimento”
E ancora come, dopo la conquista di Berlino e dopo che molti erano fuggiti via dal bunker, quelli che erano rimasti dentro avessero tagliato sacchi bianchi di farina per farne bandiera in modo da potere manifestare la propria resa alle truppe sovietiche. Ad alcuni soldati era stato ordinato di versare della benzina sui cadaveri per farne sparire le tracce, ma i resti furono solo parzialmente bruciati e poi trovati dall’Armata Rossa.
Nel descrivere Goebbels la Pomsel lo ricorda sempre elegante e ben vestito ma
“’narcisista, distaccato, freddo e rigido come il bastone da passeggio che portava. Goebbels era un gran maiale. Era un attore eccellente. Nessun altro attore sarebbe stato capace di mettere in atto la trasformazione da uomo ben educato e serio a quel fuoco e fiamme che diventava. Avere davanti, ad una distanza di 10-15 metri, qualcuno che hai visto quasi ogni giorno, venire in ufficio tutto elegante e alla moda, con una specie di nobile eleganza che diventa ad un tratto un nano infuriato…non si potrebbe immaginare un contrasto maggiore”.
Era spesso costretta a sedersi accanto a lui durante le cene nella sua casa in un’isola sul lago vicino Berlino, un posto dove Goebbels aveva sedotto molte delle sue amanti.
“Era un uomo di bell’aspetto. Non era alto, anzi, un po’ basso, Avrebbe dovuto avere qualche centimetro in più per essere davvero qualcosa, Ma era davvero molto curato, aveva bei vestiti della migliore stoffa. Aveva sempre una leggera abbronzatura, mani ben curate, probabilmente faceva il manicure tutti i giorni. Non c’era niente da criticare, niente da ridire. Ma non importa quanto eleganti e quanto calzassero bene i suoi abiti, lui zoppicava. Sentivi un po’ di dispiacere per lui che però lui compensava con l’essere leggermente arrogante. Arrogante e sicuro di sé. Era un uomo con…Come abbiamo detto? Con contegno, compostezza. Se fossi stata una star del cinema lui probabilmente mi avrebbe abbagliato con il suo fascino, ma non lo fece mai”.
Guardando alla sua vita e al suo passato ha detto
“Io non sono il tipo di persona che resiste. Non avrei osato. Io sono una dei codardi. Questo è quello che cerco sempre di spiegare alle persone di oggi. Mi piacerebbe anche fare domande stupide e ingenue se avessi la loro età. Direi che avrei dovuto sapere come tirarmi fuori. Avrei dovuto essere capace di decidere le cose per me stessa. No, non potevo”.
E si sente colpevole, tuttavia, perché, oltre a essere stata in quel momento troppo disinteressata alla politica, dice:
“Ero cresciuta abbastanza per poter riconoscere come mentono i criminali colpevoli”. E’ stato molto, molto stupido da parte mia. A volte ammiro i giovani di oggi, per quello che vedo in tv e gli do il mio riconoscimento per il modo in cui sono già alle prese con certi problemi. Vorrei che noi ci fossimo comportati così, ma abbiamo dovuto essere più obbedienti, e questo è più facile da ottenere attraverso rigore e punizioni occasionale. Tutto funziona meglio, c’è più ordine, Se questo sia preferibile o meno e tutt’altra questione”.
Dal 1942 in poi la Pomsel guadagnava 500 Reichsmark al mese lavorando per l’uomo che le masse chiamavano alle spalle “Il nano velenoso”.
Un brillante oratore e regista, con innate doti istrioniche come racconta la Pomsel, e forse l’unico vero intellettuale tra le persone che componevano il cerchio più stretto intorno a Hitler, un uomo che riuscì a legare la volontà di Hitler alla volontà della nazione tedesca fino all’ultimo momento, fino al momento della distruzione.
Brunhilde Pomsel, avendo vissuto attraverso il terrore nazista, crede la maggior parte delle persone avrebbero fatto molto poco per aiutare le persone uccise dal regime e fa una sua riflessione:
“Quelli che oggi dicono che si sarebbero rivoltati contro i nazisti – credo che parlino sinceramente, ma credetemi, la maggior parte di loro non lo avrebbe fatto. Allora l’intero Paese era sotto una specie di cappa. Noi stessi eravamo tutti all’interno di un enorme campo di concentramento”.
E ancora
“Non potrò mai perdonare Goebbels per quello che ha fatto al mondo e per i bambini innocenti che ha fatto uccidere”.
Il film documentario Ein deutsches Leben è stato presentato quest’anno a Visions du Réel, il festival internazionale del documentario di Nyon, in Svizzera, dal 15 al 23 aprile, poi al trentaquattresimo FilmFest di Monaco dal 23 giugno al 2 luglio, al Jerusalem Film Festival (JFF) dal 7 al 17 luglio, e negli Stati Uniti, al trentaseiesimo San Francisco Jewish Film Festival (SFFJF) dal 21 luglio al 7 agosto.