ROMA – Sergio Lombardo e il bimbo di Cittadella, vittime della guerra tra mamma e papà. Padri divorziati e figli strappati. Padri discriminati rispetto alle ex consorti, figli vittime della guerra asimmetrica marito-moglie: contesi, sballottati, tirati di qua poi di là, infine figli da “resettare” lontani dai genitori (come si esprime l’agghiacciante sentenza di un un tribunale italiano sul figlio letteralmente strappato a Cittadella davanti alla scuola). Proprio ieri la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia: “Non assicura i diritti dei padri separati” la sentenza seguita all’accoglimento dell’istanza di un padre romano, Sergio Lombardo, che dal 2003 cerca invano di vedere la figlia.
Questa l’accusa: i tribunali italiani non applicano la legge e non fanno tutto il possibile per consentire ai padri di vivere un rapporto sereno con i propri figli. Come nel caso di Lombardo: gli accordi della separazione prevedevano incontri programmati e visite concordate, ma la madre si è rifiutata, nel silenzio della giustizia italiana, costringendo Lombardo a ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il verdetto, duro per l’Italia, è occasione di un vasto approfondimento del quotidiano La Stampa di oggi (mercoledì 30 gennaio) che gli dedica seconda e terza pagina. Ma non possiamo non metterlo in relazione con il viaggio concomitante di un inviato di Repubblica per scoprire se e come il bambino di Cittadella abbia superato il trauma del prelevamento violento, lo choc di un padre che di forza lo carica in macchina all’uscita di scuola con l’ausilio dei poliziotti.
Carlo Verdelli è andato a Padova, nella struttura di accoglienza dove il bambino è stato mandato per sottrarlo alla violenza psicologica che avrebbe subito in famiglia. La sequenza del prelevamento fu ripresa da qualche telecamera, uno choc per l’opinione pubblica, uno strazio per l’innocenza di un bambino sconvolta e strumento indifeso della guerra fra genitori.
La vicenda è nota, nella sua disperante banalità, comune a tantissime coppie pur nell’anonimato garantito dall’assenza di una tv. Prima la separazione consensuale, poi una crescente ostilità nei confronti della figura paterna indotta dalla madre, quindi i tentativi disperati del padre di riguadagnare il suo ruolo fino al blitz davanti alla scuola, e alla conseguente “mostrificazione” di ex marito, poliziotti e magistrati. Ma non si tratta di una situazione limite, i “mostri” sono normali: “Sta crescendo il numero degli affidi giudiziari rispetto a quelli consensuali, il che significa che sempre più giudici sono costretti a fare le veci dei genitori”, dice il Garante per l’Infanzia Vincenzo Spadafora.
Presi tra l’incudine di madri inadempienti e il martello della disperazione dei padri, che ne è dei figli? Secondo un gruppo di psicologici giuridici, psichiatri forensi e docenti universitari padre, madre e figlio di Cittadella sarebbero tutti e tre afflitti da disagio psichico in conseguenza della situazione che si è determinata. Secondo loro “l’alienazione parentale è un fattore di importante rischio evolutivo per l’instaurarsi di diversi disturbi di interesse psicopatologico”.
I protagonisti dell’alienazione parentale sono tre: il genitore “alienante”, quello “alienato” e il figlio. Ma insomma, ci può bastare “medicalizzare” ogni inciampo dell’umana convivenza? Intanto, sarebbe auspicabile far capire (i giudici, l’assistenza sociale) che nelle contese genitoriali tipo Kramer contro Kramer non c’è il forte opposto al debole (spesso la moglie ma è controproducente generalizzare), ma esistono solo due debolezze che si consumano, si trascinano, tanto quanto perdura l’influenza alienante nei confronti del più indifeso, il figlio.
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