Il pane italiano? E’ fatto in Romania, e dura due anni

BUCAREST – La michetta made in Romania: è quella dei fornai italiani, e delle tavole degli italiani. Un pane low-cost che sfrutta i vantaggi economici della delocalizzazione.

Pane surgelato che viaggia in frigorifero su tir o aerei, attraverso la Croazia e l’Adriatico. A San Marino, scrive Repubblica, viene importato dalla camorra per andare a rifornire le mense scolastiche.

Il costo del panino d’importazione è meno della metà di quello italiano. Dura due anni, e produce un giro d’affari da 500 milioni.

“Non abbiamo rilasciato licenze per esportare pane in Italia”, dice a Repubblica Grigore Onaciu, capo della direzione agricola di Cluj Napoca. Mentre l’associazione panificatori nicchia: “Non sappiamo se qualche azienda vende in Italia”. Stesso copione dagli uffici della sanità alimentare, che dicono di non sapere nulla di autorizzazioni all’import del pane low cost.

Eppure il pane precotto romeno è da anni realtà in molti supermercati e ipermercati italiani. Secondo gli esportatori rumeni “Gli ipermercati italiani mollerebbero, e calerebbero le ordinazioni. Ci paragonerebbero a una piccola Cina, e invece siamo un Paese comunitario”.

La data di scadenza dice “Prodotto sfornato e confezionato in questo punto vendita”. Ma in realtà il prodotto è stato fatto ben lontano dal luogo in cui viene sfornato, lungo il Danubio in Transilvania, a Cluj, Costanza, Timisoara, dove ormai ci sono più imprese italiane che romene.

Si tratta, spiega Repubblica, di una filiera unica con due linee produttive: una moderna, tecnologicamente all’avanguardia. Come quella di Campia Turzii, a qualche decina di chilometri da Cluj. La Lorraine, frutto di una joint venture belga-romena per un impianto modello costato 14 milioni (di cui 5 dall’Unione europea) che produce 1250 kg di pane all’ora. Quelle tonnellate di pane vengono cotte e 205 gradi, poi congelate, immediatamente, a meno 25.

Ma se l’impianto di Campia Turzii è “un gioiellino” (parola del viceconsole italiano, Radu Pescaru), ben diversi sono altri impianti. Come quelli della periferia di Bucarest. Forni a gestione familiare che si servono, per cuocere il pane, di legna provenienti da bare, scheletri di fabbriche abbandonate e resti di traslochi, anche pneumatici. Ma il risultato è un chilo di pane da 60-80 centesimi.

 

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