Ungheria, il muro di Orban fatto costruire ai detenuti

Ungheria, il muro di Orban fatto costruire ai detenuti
Ungheria, il muro di Orban fatto costruire ai detenuti

BUDAPEST – Il muro anti-migranti voluto dal premier ungherese Viktor Orban lo stanno costruendo i detenuti. Sono almeno una cinquantina, tutti in uniforme grigia e da 24 ore sono stati radunati nelle campagne di Rozske, sul confine meridionale. Scortati da polizia e militari armati di ak47 stanno piazzando filo spinato e reti per impedire il passaggio dei clandestini che Orban promette di far arrestare dal prossimo 15 settembre, quando entrerà in vigore la nuova normativa più restrittiva sull’immigrazione.

Intanto prosegue la marcia disperata di migliaia di profughi per chilometri: si accalcano per salire sui bus diretti non si sa dove. Altri si danno alla fuga nei campi di granturco per evitare di essere identificati o di finire nelle gabbie a cielo aperto.

Orban aveva tirato in ballo i carcerati ungheresi già a luglio. A loro era stato chiesto di produrre i materiali necessari per costruire la barriera anti-migranti: pali, reticolato e filo spinato. E ora li ha messi al lavoro sul campo.

Claudio Accogli, inviato dell’Ansa racconta:

Un gruppo viene inquadrato in linee da dieci e inviato a piedi verso l’area dove la barriera non è stata ancora ultimata. Avanzano tra due ali di poliziotti, seguiti da militari armati di Ak47 e da due camion per il trasporto di materiali e persone. Marciano e avanzano. Hanno volti scuri e preoccupati. Sembrano voler dire qualcosa, ma la polizia ammonisce loro e i giornalisti. “No interviste!”.

A un centinaio di metri scorre la linea ferroviaria, da settimane interrotta, da cui passano i profughi. In molti, quando vedono i blindati della polizia nei pressi del campo di raccolta organizzato dai volontari, si danno alla fuga nei campi. Corrono, nonostante il terreno sia stato trasformato in una pista di fango dalle piogge di questi giorni. Si annidano sotto gli alberi. Alcuni si accampano al coperto, altri sfilano a testa bassa nei fossi. Poi arrivano nei pressi della strada, altra polizia, e i cani nelle fattorie abbaiano.

Qualcuno si accampa in attesa della notte, quando sarà più facile arrivare a Szeged e prendere un treno per Budapest. Altri ancora proseguono. Alcuni si dirigono a passo veloce verso una radura: avanzano, nonostante gli ammonimenti. Non sanno che si stanno dirigendo verso il campo di accoglienza, e che gli agenti in tenuta anti-sommossa li stanno aspettando.

Le campagne di Rozske si sono trasformate in una trappola per topi. Sono arrivati lì da Horgos, in Serbia, dopo aver sostato in un campo di transito. A un crocevia scendono a decine da ogni mezzo disponibile messo a disposizione dalle autorità serbe, che hanno più volte sottolineato che per loro “i profughi non rappresentano un problema, né tantomeno una minaccia”. Il flusso di mezzi carichi di migranti è impressionante, con una cadenza di pochi minuti uno dall’altro.

La polizia serba monitora la situazione e i migranti ringraziano calorosamente gli agenti prima di mettersi in cammino sui binari. Poi iniziano a marciare sotto la pioggia. L’afflusso record di oggi scatena una nuova calca per salire sugli autobus. Sono diretti nei centri di accoglienza, e molte famiglie ci salgono per il bene dei propri figli e degli anziani genitori. Una piccola in lacrime abbracciata dal padre mentre la madre era stretta sul mezzo senza poterla recuperare viene alla fine passata alla mamma attraverso il finestrino. La situazione è di grande tensione, con la polizia che usa toni e modi forti. Nei campi manca il cibo, gli agenti tirano panini alla folla di disperati che si accalcano davanti alle recinzioni. “Questa non è Europa, questa non è civiltà”, dicono i volontari arrivati da tutto il mondo. Human Rights Watch denuncia: qui i migranti sono trattati come animali.

Gestione cookie