ARONA – Alessandro Dell’Acqua, 69 anni di Arona, per quasi ventanni ha goduto di una pensione di invalidità, più indennità d’accompagnamento, perché all’Inps risultava non vedente ma in realtà ci vedeva benissimo, tanto da riuscire ad andare in bicicletta e a guidare la sua minicar.Ora andrà a processo ma la cosa paradossale è che a difenderlo sarà l’avvocato Mauro Dalla Chiesa, consulente dell’Anmil l’associazione dei lavoratori mutilati e invalidi che, oltretutto, offre consulenza legale gratuita ai propri soci. E quindi anche a Dell’Acqua.
L’imputato, è bene ricordarlo, era stato fermato fuori dagli uffici dell’Inps di Novara, dopo che era stato convocato per una visita. Ha sempre respinto le accuse sostenendo che all’epoca dell’assegnazione della pensione di invalidità era effettivamente cieco per colpa di un’infortunio da lavoro e che in tempi recenti, miracolosamente, la vista gli era tornata. “Mi scoppiò una lampadina in faccia. Non mi curarono bene, mi rimasero i pezzi di vetro negli occhi. Poi, ho cominciato a vedere meglio”, è la sua difesa.
E così da quel giorno ha indossato occhiali neri e bastone: una vita da pensionato con doppio assegno come di norma vengono assistiti i ciechi assoluti. Fino al 2005 quando riesce ad ottenere la patente per minicar, superando non solo la visita medica ma addirittura la prova pratica a Domodossola. Gli uomini della Finanza sono arrivati a lui solo nel 2011 ed è stato proprio quel patentino ad insospettirli e convincerli a convocarlo per una visita-trappola.
Ora, volendo ammettere che la vista gli sia miracolosamente tornata in tempi recenti, a rigor di logica non sarebbe potuto avvenire più tardi del 2005, anno del suddetto patentino. Ma Dall’Acqua è stato talmente fortunato da riuscire a godere della pensione ancora per buoni 6 anni. E siccome piove sempre sul bagnato, ora a difendere il finto cieco c’è pure l’avvocato dei veri ciechi. Pro bono, perché questa è la mission dell’associazione. Ma la notizia ha suscitato non poche polemiche.
All’Anmil fanno spallucce e si trincerano dietro un istituzionale: “Il servizio di consulenza è offerto a tutti gli iscritti”. E si dà il caso che il nostro sia uno di loro. Ad ogni modo, fanno sapere, si tratta solo di un primo consulto “poi eventualmente spetterà all’imputato pagare la parcella dell’avvocato che è libero di scegliere chi assistere nell’ambito della sua professione privata”. Ok, ma ciò non toglie che Dell’Acqua non possa usufruire delle tariffe agevolate, garantite a tutti i soci dell’Anmil. Al riguardo l’avvocato Dalla Chiesa precisa: “Dal ’92, svolgo come libero professionista l’incarico di consulente dell’Associazione nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro, per la tutela in generale degli interessi dei lavoratori vittime di infortuni o malattie professionali. Nel caso specifico, ho ricevuto l’incarico dal signor Dell’Acqua in via diretta e privata, e senza l’intervento dell’associazione. Non riesco a comprendere a quale titolo, per quale ragione, l’Anmil venga accostata al conferimento del mandato. I fatti in questione non riguardano in alcun modo le battaglie dell’Anmil”.
Quanto al caso specifico ci tiene a precisare che per la Costituzione italiana,l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. In caso venga riconosciuto colpevole dei reati di truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, Dall’Acqua rischia da 1 a 6 anni. In tutti questi anni nelle sue tasche è finito un tesoretto di circa 160 mila euro.
Il giorno in cui Dall’Acqua balzò agli onori delle cronache, la moglie aveva commentato così: Gli avevo sempre detto che sarebbe finita male”.
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