Non è stato messo neppure un centimetro di asfalto e già lo Stato rischia di dover pagare ai privati una penale da 900 milioni di euro. L’ennesima storia di sprechi di risorse pubbliche e di lavori che non cominciano mai la raccontano Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Siamo a Roma, nella zona sud. Serve una strada, larga e rapida, che colleghi la capitale con Latina. Serve perché la strada che da sempre fa questo lavoro, la via Pontina, è sistematicamente congestionata ed è caratterizzata da un numero di incidenti mortali che ne fa una delle arterie più pericolose d’Italia.
Si parte, col piede sbagliato, nel 2001. A muoversi è Francesco Storace, allora presidente della Regione Lazio che sceglie la strada della joint – venture pubblico privato: da un lato la Regione col 51%, dall’altro un reticolo di società, Autostrade, il Monte dei Paschi e il Consorzio Duemilacinquanta, con il 49%. Peccato che, se si vuole stare in Europa, così non si può fare. La regola è semplice: se lo Stato fa da solo va bene, se invece si appoggia ai privati serve una gara d’appalto. Che non si è fatta. Nel 2003, quindi, Bruxelles dice no. La Regione, però, fa orecchie da mercante e, scrivono Stella e Rizzo, il “19 maggio 2004, in barba alle obiezioni di Bruxelles, l’Arcea incarica il Consorzio Duemilacinquanta, il raggruppamento privato che è suo azionista, di fare il progetto dell’opera. Un incesto amministrativo ribadito. E stavolta con un secondo contratto ancora più oneroso. Nell’indifferenza per gli eventuali contraccolpi legali”.
Il progetto, però, non parte perché cambiano le maggioranze, sia a livello Regionale che centrale. Tocca a Piero Marrazzo alla Regione e ad Antonio Di Pietro alle infrastrutture. E si cambia registro. Spiegano i due: nel 2006 “Di Pietro annuncia che da Arcea escono i privati e subentra lo Stato: «Stiamo studiando le modalità per fare entrare l’Anas». Obiettivo: 60% alla Regione, 40% all’Anas. Spiega il governatore: «Questa proposta arriva dopo che l’Unione europea e l’Autorithy sulla concorrenza hanno negato all’Arcea il ruolo di società concessionaria a causa della presenza di privati”».
Sembra fatta ma non lo è. Nel 2008 torna il centrodestra e si ricomincia da capo. Sempre Marrazzo, nel 2008, fa una nuova società, la “autostrade del Lazio spa”. A parte il nome, nella società non ci sono le Autostrade ma l’Anas. Il paradosso è servito: per fare la stessa strada ci sono due società “una con le Autostrade e una con l’Anas. Un pallonetto alzato a chi avesse voglia di piantare grane. Cosa che puntualmente accade. Appena il centrodestra vince le elezioni politiche, pura coincidenza, parte la prima richiesta di arbitrato. Quella specie di giustizia parallela con corsia prioritaria più volte abolita e più volte ripristinata. Il Consorzio Duemilacinquanta pretende un risarcimento danni di 674 milioni. Nessuno fa una piega e i tre arbitri vengono insediati di comune accordo. Sono l’avvocato di Erasmo Cinque, Federico Tedeschini, per la società privata e l’ex ministro Angelo Piazza per la Regione. Che insieme scelgono come presidente del collegio l’amministrativista Arturo Cancrini”.
Non è finita: a gennaio 2009 parte un secondo arbitrato: Autostrade chiede alla Regione altri 185 milioni di danni. In totale fanno circa 859 milioni di richieste. Scrivono Stella e Rizzo che è “più del doppio delle penali che lo Stato avrebbe dovuto pagare cancellando il Ponte di Messina. Per 55 chilometri: cioè 30 milioni e 327mila euro al chilometro, il triplo dei costi francesi o spagnoli. Quasi otto volte più di quanto costò in valuta attuale l’Autosole”. E su chi pagherà, numeri alla mano, sembrano esserci pochi dubbi: “Nei primi nove mesi del 2009, per esempio, furono depositati 132 lodi arbitrali: nel 98% dei casi perse lo Stato. Tanto, non paga Pantalone? Nei 279 arbitrati fra il 2005 e il 2007 non era andata poi diversamente: 15 vittorie per lo Stato, 264 (pari al 94,6%) per i privati”.