BRESCIA – Brescia è la città italiana dove ci si ammala più di tumore. E secondo il rapporto “Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Airtum, c’è un collegamento tra l’eccesso di tumori e l’inquinamento causato dalle industrie chimiche Caffaro.
“In entrambi i generi – si legge nello studio Iss-Airtum – si osservano eccessi (uomini +10%, donne + 14%) in tutti i tumori e dei tumori epatici, laringei, renali e tiroidei”. Il collegamento tra inquinamento e tumori, secondo il rapporto, sarebbe evidente soprattutto in tre tipologie di tumore direttamente riconducibili a Pcb e diossine, per i quali si registra un’incidenza record: i melanomi cutanei (uomini + 27%, donne + 19%), i linfomi non-Hodgkin (uomini + 14%, donne + 25%) e i tumori della mammella (donne + 25%).
“E’ ora che i vertici dell’Asl di Brescia facciano un passo indietro. So di spingermi oltre un contributo scientifico puro – spiega il professor Paolo Ricci, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico di Mantova e coordinatore, con Pietro Comba dell’Iss a ilfattoquotidiano.it – ma penso che la ricerca debba avere anche una ricaduta sociale sulla salute delle persone. Chi ha avuto a che fare fino ad ora con la gestione della situazione sanitaria e ambientale di Brescia sul caso Caffaro dovrebbe lasciare il posto ad altri”.
La direzione dell’azienda sanitaria locale ha però diffuso le considerazioni del responsabile dell’Osservatorio epidemiologico dell’Asl di Brescia, Michele Magoni: “I Pcb sono sostanze tossiche – spiega il dottor Magoni – la loro definizione come cancerogeni è invece più controversa ed è nel 2013 che la Iarc (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ndr) li ha classificati come cancerogeni certi per il melanoma; permangono quali probabili cancerogeni per il linfoma-NH e per il tumore della mammella”. Gli studi sulla correlazione tra Pcb e tumori, dice l’Asl di Brescia, “sono contrastanti”.
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