La Corte di Cassazione ha confermato la condanna al risarcimento di 1508,78 euro oltre agli interessi legali a ognuno dei cento lavoratori Alfa Romeo/Fiat che si erano costituiti parte civile nel processo a Cesare Romiti e Francesco Paolo Mattioli per falso in bilancio nel 1996.
Lo si apprende da una nota diffusa dallo Slai-Cobas, il sindacato di base attraverso il quale i lavoratori dei vari stabilimenti Fiat si erano costituiti parte civile nel processo nei confronti dei due manager, all’epoca dei fatti rispettivamente amministratore delegato e direttore finanziario del gruppo torinese.
Secondo la ricostruzione del sindacato, oggetto del risarcimento era «il premio di produzione Fiat, allora legato agli andamenti del bilancio aziendale», che «era stato decurtato per effetto dei falsi in bilancio causati dai fondi neri usati dalla Fiat per pagare le tangenti ai politici».
La causa in Cassazione, spiega il sindacato, si è tenuta lo scorso lunedì 5 ottobre presso la terza sezione civile della Corte. Cesare Romiti e Francesco Paolo Mattioli erano difesi dagli avvocati Franzo Grande Stevens, Anita De Luca ed Edoardo Pontecorvo, che avevano chiesto la cancellazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino del 2 dicembre 2003, che aveva confermato la sentenza del Tribunale Civile di Torino del 31 dicembre 2002, che condannava i due manager a risarcire i lavoratori degli stabilimenti Alfa Romeo e Fiat di Arese (Milano), Pomigliano d’Arco (Napoli), Torino, Termoli Imerese (Palermo) e Modena, difesi dagli avvocati Roberto Lamacchia e Giorgio Marpillero di Torino.
«I lavoratori dello Slai Cobas – si legge sulla nota – si costituirono parte civile e contribuirono in modo determinante alla condanna di Romiti, consegnando tra l’altro alla magistratura torinese la fotocopia di un assegno di 4 miliardi di lire, dato come tangente dallo stesso Romiti a Bettino Craxi (all’epoca presidente del consiglio, ndr), per ottenere l’Alfa Romeo in regalo».
«Questa sentenza – prosegue la nota – ci dà più forza nella battaglia che come Slai-Cobas stiamo facendo assieme a tutti i lavoratori del gruppo Fiat contro licenziamenti, cassa integrazione continuata, chiusura di stabilimenti, precariato, salari da fame e supersfruttamento».
«Lo stabilimento di Arese non deve chiudere – è l’appello dello Slai-Cobas – e i 10 mila operai dell’AlfaSud e del sito di Pomigliano devono avere una seria prospettiva lavorativa».
«Il grande piano Marchionne – spiega lo Slai-Cobas – prevede di portare la Panda al posto delle vetture Alfa e non fa altro che copiare quello di Romiti: ad Arese portarono la Y10 al posto delle vetture Alfa e ciò fu l’inizio della fine».