ROMA – Ci sono le emorragie cerebrali e le emorragie di cervelli: la seconda è quella di cui soffre l’Italia. Sono stati in 316 mila i “cervelli”, ovvero i giovani laureati fra i 25 e i 37 anni, che hanno lasciato il nostro Paese negli nel decennio 2000-201o. È il risultato di un’indagine del programma “Giovani talenti” di Radio 24.
Chi ha ambizioni professionali o più semplicemente vuole fare un lavoro attinente ai propri studi, sceglie la Germania, poi l’Inghilterra, quindi la Francia. Nella classifica degli approdi preferiti per i laureati italiani ci sono gli Stati Uniti al quarto posto, la Cina al nono e il Brasile al decimo.
Il problema non è solo dei mancati guadagni che potrebbero venire da questo “capitale umano”, ma i costi di questa fuga di cervelli. La formazione base di uno studente costa, stime Ocse, 130 mila dollari. Ma se ci aggiungiamo laurea, dottorato, master e corsi di lingue Confindustria calcola che un ricercatore, una figura specializzata costi 800 mila euro allo Stato.
Solo negli ultimi anni, ha dichiarato il presidente degli industriali Giorgio Squinzi, “Il nostro Paese ha speso grosso modo 5 miliardi di euro e i nostri competitori increduli ringraziano del prezioso regalo”.
Come evidenzia La Stampa, sono le raccomandazioni a invogliare i laureati a comprarsi un biglietto di sola andata per l’estero:
Tutto questo non sarebbe, però, un problema se rientrasse nel normale flusso fisiologico dei cervelli che esiste in tutto il mondo sviluppato: per esempio da noi il tasso di espatri di laureati in discipline scientifiche (matematica, fisica, chimica, biologia) è del 16,2%, contro il 23,3% della Germania, il 25,1% della Gran Bretagna, il 21,1% del Belgio. La scienza ha bisogno di questi scambi. Il dramma sta nel fatto che da noi chi esce non torna indietro. Secondo una indagine del centro studi sulle migrazioni «Altreitalie», ciò che spinge i nostri ricercatori a migrare non è solo il desiderio di esperienza quanto l’insofferenza verso il sistema clientelare delle raccomandazioni che vige da queste parti. Tant’è che mentre il 18,7 per cento vorrebbe tornare in patria quando si presentassero le condizioni, il 41,3% lo esclude in assoluto proprio per una «forma di odio e di risentimento verso il sistema accademico e scientifico del nostro Paese».
I commenti sono chiusi.