Maurizio Scoppa, il generale che vigilava su fondi Ue. Senza telefono, pc…

Maurizio Scoppa, il generale che vigilava su fondi Ue. Senza telefono, pc...
Maurizio Scoppa

NAPOLI – Maurizio Scoppa avrebbe dovuto vigilare sui fondi dell’Unione europea in Campania. Senza un ufficio, un telefono e nemmeno un pc. Motivo per cui il generale ha deciso di lasciare l’incarico. “Ho deciso per la risoluzione del contratto, è fin troppo chiaro che non mi vogliono qui”, ha detto. E intanto i fondi Ue sono tornati al mittente, di nuovo.

Nominato nel novembre 2013, il compito di Scoppa sarebbe stato quello di vigilare sui fondi Ue mal e mai spesi, scrive il Corriere della Sera:

“Era successo che l’amico Scoppa, generale di corpo d’armata, comandante dei carabinieri nelle regioni meridionali e, una volta in pensione, esemplare amministratore della Asl Napoli I, era stato appena scelto come «esperto trasversale in legalità e sicurezza» con specifico riguardo ai fondi trasferiti da Bruxelles. Quei fondi, cioè, la cui gestione è un mistero inestricabile; che ci sono ma non si utilizzano; che se li dirotti sui grandi progetti, come sul porto di Napoli, restano nel cassetto; e se li distribuisci a pioggia non servono a nulla. Ancora oggi, nella Regione dove il tasso di disoccupazione è più alto e la miseria più nera, ci sarebbero da spendere 125 milioni al mese per due anni. Una manna dal cielo, no? Eppure nulla, o quasi, si muove”.

Appena 5 mesi e Scoppa ha annunciato che rinuncia all’incarico:

“Addio consulenza prestigiosa, addio compenso di circa 70 mila euro l’anno. Scoppa rinuncia a tutto, perché a tutto c’è un limite. L’uomo d’ordine che ha rapidamente dimezzato il bilancio della più grande Asl del Sud; il sobrio dirigente che ha convinto i suoi riottosi collaboratori a lasciare i comodi uffici in fitto nel salotto buono della città per trasferirsi nella più scomoda periferia, in locali di proprietà pubblica, si è ritrovato di colpo solo e disarmato. Questo gli è capitato non appena è arrivato nel cuore del Palazzo, a Santa Lucia, dove c’è l’ufficio del governatore Caldoro, e dove, racconta, «tutti si aggirano con aria dimessa e dismessa, dal primo direttore all’ultimo usciere»”.

Sconfortato da una situazione lavorativa non facile:

“«Nulla. Non mi hanno dato nulla di quello che mi occorreva per fare il mio lavoro», spiega. L’ufficio? «Dopo quattro mesi e infinite insistenze». E prima? «Un peripatetico, ecco cos’ero». Il telefono? «Quello c’era, ma staccato. Senza linea». Il computer? «Il mio, l’ho portato da casa». E così la carta e tutto il testo”.

Né segretaria, né staff, nemmeno la possibilità di protocollare le lettere:

“«Invece, nulla. Ripeto, nulla. Per mesi nessuno è venuto a bussare alla mia porta, non ho visto una carta, un fascicolo, un faldone, un dato. Quando cercavo qualcuno con cui interloquire incrociavo solo sguardi distratti. Dario Gargiulio, il mio direttore di riferimento, l’ho visto solo due volte: quando ho firmato il contratto e, per caso, all’aeroporto di Fiumicino. Buongiorno, come sta? E poi ognuno per la sua strada»”.

Alla fine, la rinuncia:

“«Per l’insofferenza della Pubblica amministrazione verso ogni sorta di controllo; per quel mix di inefficienza e incapacità in cui annega la burocrazia, che più periferica è, peggio si comporta; per la certezza che tanto negli uffici nessuno ti dice mai nulla»”.

 

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