MILANO – Un agente di polizia è stato sospeso per aver aperto un profilo su un sito di appuntamenti, usando il nickname trans e pubblicando sue foto travestito da donna. Lo ha fatto con il dovuto riserbo, in una sezione visibile solo a lui e ai suoi amici, ma la voce giunge comunque al suo diretto superiore, il quale decide di andare più a fondo sulla questione. Per avere prova di quei pettegolezzi chiede ad un altro poliziotto di iscriversi al sito in questione sotto mentite spoglie. E’ accaduto a Milano, ad ottobre dello scorso anno. La storia si conclude con la sospensione del “poliziotto trans” e il suo ricorso al Tar della Lombardia. Scrive Repubblica che per prima ha raccontato la storia:
È qui che parte il procedimento disciplinare (siamo nell’ottobre di un anno fa) che si conclude con la sospensione dal servizio per un mese. Denuncia l’agente, presentando ricorso al Tar della Lombardia: è irrituale il modo in cui il suo superiore ha cercato le prove (“con un agente provocatore”) ma, soprattutto, scrive l’avvocato, “sanzionare il comportamento del ricorrente, per di più per condotte poste in essere nell’ambito della sua vita privata, dimostra senza alcun dubbio uno specifico intento di mortificarlo in ragione del suo orientamento sessuale, in una logica di chiara matrice omofobica che considera l’omosessualità nell’amministrazione della Pubblica Sicurezza intollerabile”.
Ma i giudici amministrativi respingono il ricorso e danno ragione al comando:
È fuorviante la valorizzazione di profili attinenti ad una presunta discriminazione sessuale, che la difesa del ricorrente ha sagacemente prospettato per eludere l’autentica ragione della sanzione”, ovvero “una condotta in contrasto con gli obblighi di decoro imposti dall’appartenenza alla Polizia di Stato, soprattutto in ragione dell’oggettiva e potenziale diffusione di tali manifestazioni” sui social network. E non è solo una questione di decoro, ma di sicurezza.
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