ORTONA (CHIETI) – Centocinque candidati per 20 posti da scaricatore di porto, ma sono esclusi coloro che tra gli aspiranti sono muniti di laurea o sono donne. Il caso raccontato sulle pagine di cronaca del quotidiano abruzzese il Centro ha subito acquistato valenza nazionale guadagnandosi un’inchiesta a tutta pagina su Repubblica. In realtà il posto non è neppure assicurato: trattati di un corso di formazione per 15 “addetti al carico e scarico merci in ambito portuale”. Il ché significa che di quei 20 selezionati, 5 se ne torneranno a casa, più istruiti, ma di nuovo senza un lavoro.
Insomma il porto di Ortona, dove si sono aperte le posizioni lavorative, è divenuto il simbolo di una discriminazione al contrario. Il luogo dove il paradosso della crisi penalizza i candidati migliori: coloro i quali hanno investito tempo e soldi nella propria formazione e che ora si ritrovano per le mani un ingombrante titolo di studio che li ostacola nella ricerca di un lavoro, seppure umile e non qualificato, ma comunque nobile come ogni lavoro.
Tra le domande pervenute figuravano quelle di sei donne, di alcuni laureati in ingegneria e giurisprudenza e altre discipline e alcune candidature anche da fuori Regione, per un’età media dei corsisti di 25 anni. Tutti respinti: un colpo di penna li ha cancellati in blocco perché “quello del portuale è un lavoro manuale. Confrontando i curricula, sono state scelte persone fortemente motivate a fare questo lavoro e a farlo per sempre. Per chi invece ha titoli alti, non credo che il porto possa essere una scelta di vita”.
Se non fosse che il posto da portuale offerto non è fisso, ma interinale. L’iniziativa è stata presa dalla Rete portuale, associazione nella quale le dieci imprese private che lavorano al porto hanno unito le forze per cercare un futuro assieme invece di farsi soltanto concorrenza. “L’esclusione non è stata fatta in via pregiudiziale – mette le mani avanti Barbara Napoliello, presidente dell’associazione – Ci mancherebbe altro. L’unico criterio adottato è la comparazione dei curricula”. “Forse — aggiunge — i selezionatori hanno fatto questo ragionamento: se diamo la precedenza ai laureati, che lavoro potranno mai cercare quelli che hanno soltanto il diploma o la terza media?”.
Intanto però il corso è cominciato: da martedì duecento ore d’aula e poi in cantiere. “Ai selezionatori abbiamo detto che i candidati debbono sapere cosa sono una nave e un porto. Debbono essere disposti a lavorare con le mani e a farlo anche quando c’è il maltempo. E sono obbligati a conoscere l’inglese tecnico, quello che si parla nei porti, non a Oxford”. Il corso, con lezioni sia teoriche che pratiche, affronta diverse discipline: lavorare in team, normative e sicurezza portuale, gestione e organizzazione degli spazi, carico e scarico di merci, movimentazione manuale di merci e con appositi veicoli, utilizzo di carrelli e acquisizione dell’inglese tecnico.
A fine corso, tra un mese e mezzo, i promossi saranno affidati a un’agenzia interinale che a sua volta li distribuirà tra le 10 aziende del porto. Un dipendente interinale ha un salario di circa 1.200 euro al mese, ma se invece lavorerà dieci giorni, si dovrà accontentare di 600 euro. Anche meno, se non ci sono navi in arrivo o in partenza. Nel porto abruzzese nel 2012 sono arrivare 337 navi e ne sono partite 342. In tutto sono state movimentate 1.721.910 tonnellate di merci.