SAN GIOVANNI ROTONDO – Da anni circolano voci sui trucchi veri o presunti con cui Padre Pio si sarebbe procurato le stimmate.
Adesso il tabloid inglese “The Sun” ha rispolverato la questione rilanciando così i sospetti, dopo che lo storico italiano Sergio Luzzatto è stato premiato con il Cundill Prize 2011 per il suo libro “Padre Pio” (edito da Einaudi e tradotto negli Stati Uniti per Metropolitan Books con il titolo “Padre Pio: Miracles and politics in a secular age”). Nel volume sono raccolti diversi documenti che aprono diversi dubbi sul frate di Pietrelcina: si procurava le piaghe alle mani con l’acido fenico?
Il giallo parte da un documento del 1919 firmato da un farmacista di Foggia, il dottor Valentini Vista che, dopo il ritorno da un pellegrinaggio della cugina Maria De Vito, pure lei farmacista, scrisse: «Quando ella tornò a Foggia mi portò i saluti di Padre Pio e mi chiese a nome di lui e in stretto segreto dell’acido fenico puro dicendomi che serviva per Padre Pio, e mi presentò una bottiglietta della capacità di un cento grammi, bottiglietta datale da Padre Pio stesso, sulla quale era appiccicato un bollino col segno del veleno (cioè il teschietto di morte) e la quale bottiglietta io avrei dovuto riempire di acido fenico puro che, come si sa, è un veleno e brucia e caustica enormemente allorquando lo si adopera integralmente. A tale richiesta io pensai che quell’acido fenico adoperato così puro potesse servire a Padre Pio per procurarsi o irritarsi quelle piaghette alle mani».
Il vescovo di Foggia, monsignor Salvatore Bella, aveva chiamato a testimoniare Valentini Vista che gli illustrò così la composizione chimica del composto richiesto da Padre Pio: «La veratrina è tale veleno che solo il medico può e deve vedere se sia il caso di prescriverla», spiegò secondo quanto riporta Luzzatto in un articolo del 2007 apparso sul Corriere della Sera.
A scopi terapeutici la posologia indicata per la veratrina era compresa fra uno e cinque milligrammi per dose, spiega ancora lo storico, e «la richiesta di Padre Pio fu invece di quattro grammi! ». Così iniziò a serpeggiare il dubbio che il frate si servisse di queste sostanze «per procurarsi o rendere più appariscenti le stigmate alle mani».
Ancora più precisi furono i dettagli di cui la signorina De Vito parlò nella sua testimonianza al vescovo. Disse di avere passato un mese a San Giovanni Rotondo, nell’estate del 1919. Prima che partisse, secondo Luzzatto, padre Pio l’avrebbe chiamata «in disparte», parlandole «con tutta segretezza», «imponendo lo stesso segreto a me in relazione anche agli stessi frati suoi confratelli del convento». Poi le avrebbe consegnato una boccetta vuota, in modo che fosse riempita con acido fenico puro per poi fargliela riavere «a mezzo dello chauffeur che prestava servizio nell’autocarro passeggieri da Foggia a S. Giovanni».
Padre Pio aveva detto, sempre secondo la testimonianza della De Vito, che gli serviva «per la disinfezione delle siringhe occorrenti alle iniezioni che egli praticava ai novizi di cui era maestro», ma scrive ancora lo storico «la richiesta dei quattro grammi di veratrina le era giunta circa un mese dopo, per il tramite d’una penitente di ritorno da San Giovanni. Maria De Vito si era consultata con Valentini Vista, che le aveva suggerito di non mandare più nulla a padre Pio».
Un anno dopo circa, nella seconda metà del 1920, stando ancora alla ricostruzione dello storico Luzzatto, al Sant’Uffizio sarebbe arrivata una lettera-perizia di padre Agostino Gemelli, appartenente all’ordine francescano ofm e fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dell’istituto secolare dei Missionari della Regalità di Cristo.
Gemelli era un aspro critico di padre Pio e definì il frate «uno psicopatico ignorante e che induceva in automutilazione e si procurava artificialmente le stigmate allo scopo di sfruttare la credulità della gente».
Eppure, nonostante le critiche e i sospetti, nelle mani di Padre Pio per 50 anni continuavano ad apparire le stimmate insanguinate, segno della passione di Gesù sulla croce, tanto che il frate portava i guanti per coprire le ferite.
Inoltre, in contrapposizione a chi mette da anni in dubbio la veridicità del “miracolo” sulle sue mani, c’è anche chi sostiene che il frate usasse l’acido fenico non per procurarsi le stimmate, ma per disinfettare le siringhe con cui faceva le iniezioni, come lui stesso avrebbe detto alla De Vito in una confidenza. Allora perché tanto riserbo?
Hanno provato a smontare questi dubbi, documenti alla mano, i giornalisti Saverio Gaeta e Andrea Tornielli autori del libro “Padre Pio, l’ultimo sospetto. La verità sul frate delle stimmate”. Secondo loro la testimonianza della farmacista De Vito non sarebbe attendibile perché a presentarla in Vaticano sarebbe stato l’arcivescovo di Manfredonia Pasquale Gagliardi, che aveva definito Padre Pio un indemoniato” e che quindi a detta dei due giornalisti sarebbe stato pubblicamente nemico dichiarato del frate.
I commenti sono chiusi.