“Padre Pio nel ’64 mi disse che Salvatore Giuliano era vivo”, il racconto dell’avvocato Boschi

Nel ’64 sembra che Padre Pio sapesse che Salvatore Giuliano era vivo. La rivelazione è stata fatta dall’avvocato Ettore Boschi il 21 maggio del 2007, secondo quanto scrive il Corriere del Mezzogiorno, in un’intervista a Tele Radio Padre Pio.

“Padre Pio sapeva almeno fin dal 1964 che Salvatore Giuliano non era stato ucciso da suo cugino Gaspare Pisciotta nella notte tra il 4 e il 5 luglio del 1950, sparandogli nel sonno due colpi di pistola alla schiena in una casa di Castelvetrano, in provincia di Trapani”, scrive il quotidiano.

Lo stesso racconto è stato ritrasmesso dalla rubrica ‘Oltre il fatto’ anche questa mattina. Stefano Campanella, direttore della Radio, ha intervistato l’avvocato, che racconta gli incontri con Padre Pio:  “Ci siamo messi a chiacchierare. Poi ci siamo messi anche a discutere. A un certo punto parlavamo del bandito Giuliano. Lui sosteneva che fosse vivo e che fosse in America. Io insistetti, da giovane e da avvocato: “Ma gli hanno fatto l’autopsia… i familiari lo hanno riconosciuto… ma Padre, che sta dicendo?”. Fino a quando lui mi ha detto: “Zitto, tu non capisci niente!””.

Ma c’è di più secondo la ricostruzione del Corriere: “Per singolare coincidenza l’avvocato Boschi è stato colui che, per primo, nel 1980, riuscì ad ottenere il riconoscimento dell’analisi del Dna come prova processuale del legame di parentela, come attestano i manuali di diritto. Ora proprio questa indagine clinica rivelerà se il cadavere esumato ieri in Sicilia è quello di Salvatore Giuliano o di un suo sosia. L’avvocato Ettore Boschi è, inoltre, il figlio della marchesa Giovanna Rizzani, legata a Padre Pio da esperienze non comuni. Era la «bambina che nasceva» mentre «il padre moriva» in «una casa signorile di Udine» durante la prima bilocazione del Cappuccino di Pietrelcina, avvenuta la sera del 18 gennaio 1905″.

La carriera criminale del bandito Giuliano era nata quasi per caso quando, il 2 settembre 1943, uccise il carabiniere Antonio Mancino durante un servizio anticontrabbando. Erano anni duri. Dopo lo sbarco degli Alleati la Sicilia cercava di uscire dall’antica cappa di povertà e il contrabbando era per molti un mezzo di sopravvivenza. Qualche mese dopo Giuliano uccise un altro carabiniere che voleva arrestarlo.

E da quel momento il piccolo malavitoso assunse le sembianze di un bandito che a capo di una banda razziava, intimidiva, uccideva. Fu facile appioppargli il titolo di ”re di Montelepre”, il piccolo paese della cintura palermitana dove era nato il 16 novembre 1922. Dopo i primi tempi vissuti alla macchia da criminale semianalfabeta, ma gia’ entrato nella dimensione del mito, Giuliano sposo’ una strategia politico-terroristica. Gli assalti alle caserme dei carabinieri, alle camere del lavoro e alle sezioni del Pci gli servivano per partecipare al grande gioco politico che in quegli anni in Sicilia teneva insieme mafia, separatisti e forze agrarie. Inseguiva quindi il sogno di fare diventare la Sicilia la quarantanovesima stella della bandiera degli Stati Uniti.

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