VERONA – Sono stati assolti gli otto poliziotti del settimo reparto Celere di Bologna accusati di lesioni gravissime ai danni di Paolo Scaroni, ultras del Brescia che passò oltre due mesi in coma per il pestaggio subito alla stazione di Verona il 24 settembre 2005, dopo Verona-Brescia.
La sentenza è stata accolta con cori di disapprovazione da parte dai trenta ultras bresciani ai quali è stato permesso di entrare in tribunale. Fuori c’erano – in segno di solidarietà – circa 500 ultras provenienti da tifoserie anche nemiche, come Atalanta, Verona, Milan, Sampdoria, Chievo, Cesena, Bologna, Torino, Perugia, Venezia e Cavese.
Scaroni, che ora ha 36 anni, dopo essere stato a lungo in pericolo di vita, è rimasto invalido al 100%.
Uno degli agenti, che si trovava alla guida del pullman della polizia, è stato assolto per non aver commesso il fatto, gli altri sette per insufficienza di prove. Il pubblico ministero aveva chiesto per tutti otto anni di reclusione per il reato di lesioni gravissime.
“Dobbiamo andare avanti, non dobbiamo mollare”: così Scaroni, in lacrime, ha commentato la sentenza del Tribunale di Verona. Alla lettura della sentenza anche il padre del giovane è scoppiato in lacrime.
Indignata invece la reazione dell’avvocato di parte civile Alessandro Mainardi: “È una sentenza tartufesca, alla don Abbondio: il coraggio chi non ce l’ha non se lo dà. Il giudice ha inviato gli atti alla Procura della Repubblica per il taglio di 10 minuti nel filmato in cui il mio assistito viene massacrato di botte. Quella è la prova regina, ora mi chiedo: chi risponderà di questa manipolazione che ha sottratto una prova fondamentale?”. Mainardi si è riservato la lettura delle motivazioni prima di valutare il ricorso in appello.
Cosa successe quel 24 settembre 2005. Alla stazione di Verona ci sono gran parte degli 800 ultras bresciani che hanno seguito le rondinelle nel derby del Garda. “Bloccano il binario, non fanno partire il treno” è il motivo con il quale la polizia giustifica la carica di mezz’ora contro gli ultras. Il giorno dopo si apprende che uno di loro è in coma, dopo “un malore”: “Si è scontrato con gli ultras veronesi”, è la spiegazione ufficiale. Nelle stesse ore, a 100 km da Verona, alcuni poliziotti della Questura di Ferrara raccontano di essere stati aggrediti a colpi di karate da un “giovane invasato”. Quel giovane ha 18 anni, anzi aveva 18 anni perché è morto, per “un malore”. Si chiamava Federico Aldrovandi.
Per una tragica coincidenza, nello stesso giorno, Paolo Scaroni è dato più morto che vivo all’ospedale di Verona. È in coma e “se ce la farà a sopravvivere e si sveglierà sarà un vegetale”, spiegano i medici ai genitori disperati. È arrivato in ambulanza con la testa fracassata, i referti medici dicono che è stato colpito “sempre e solo alla testa”. Passano 64 giorni, gli amici ultras sono una presenza costante in ospedale. Poi Paolo si sveglia e racconta la sua versione dei fatti a una poliziotta, Margherita T., che da sola ricostruisce una versione dei fatti ben diversa da quella fornita dai suoi colleghi.
“Erano almeno quattro celerini, con i caschi. Mi urlavano: bastardo. Picchiavano con i manganelli impugnati al contrario per farmi più male”, ricorda Paolo parlando a fatica. Una carica improvvisa e senza motivo. Secondo le testimonianze dei macchinisti del treno e della Polfer, gli ultras non stavano bloccando il treno, erano tranquilli. Non c’era nessun ultras veronese in quel momento in stazione, nessun fantomatico scontro fra tifoserie in atto. Finché la Celere non ha lanciato lacrimogeni dentro le carrozze, dove c’erano anche donne e bambini. Poi giù manganellate. Per mezz’ora. Una sequenza dei fatti confermata anche dalla Digos di Brescia.
Infine ci sarebbe una prova regina: Margherita scopre che i suoi colleghi hanno un filmato di quel pomeriggio, un video con le riprese di tutti gli scontri. Peccato che quando arriva ai magistrati, questo filmato è stato tagliato proprio nel punto in cui Paolo è stato pestato. Una decina di minuti. Tagliato anche nel finale il commento di due agenti: “Adesso il questore ci incarna…”. “Ascolta, tu prova a guardare subito le immagini di quando il…”. Fine.
In queste condizioni è stata una mezza vittoria arrivare al processo. Paolo c’è arrivato con un piede paralizzato e la voce spezzata in seguito al trauma. Disse un paio d’anni fa a Paolo Biondani de L’Espresso: “La mia storia è simile a quella di Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani… La differenza è che io sono ancora vivo e posso parlare”.
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