MILANO – Pierangelo Daccò aveva “referenti politici importanti anche a Roma” e non solo ai piani alti della Regione Lombardia e in Sicilia. Referenti a cui rivolgersi quando aveva bisogno per risolvere i problemi dei rimborsi per la Fondazione Maugeri accanto all’assessore o al direttore generale di turno al quale a Natale e a Pasqua regalava pacchi con dentro la colomba, il vino, i fichi secchi o il panettone, essendo lui non un tecnico ma un “esperto nella frequentazione ormai da 34 anni di tutti i meandri regionali per quanto riguarda la sanità”. Inoltre Daccò ha spiegato di essere stato pagato per “insistere”, lui che lavorava “sull’umano, sul rapporto diretto” e ha detto di sé: “Sono uno che a volte è quasi invadente”.
Nel giorno in cui la Procura, durante l’udienza preliminare del 26 aprile per il caso San Raffaele, insiste per la richiesta di processo per l’uomo d’affari vicino al Governatore Roberto Formigoni – al quale, come risulta agli atti, ha pagato vacanze lussuose ai Caraibi oltre ad averlo ospitato in barca o in ristoranti extralusso – spunta il verbale dell’interrogatorio reso da Daccò lo scorso 17 aprile davanti a Vincenzo Tutinelli e ai pm Laura Pedio e Antonio Pastore per la vicenda con al centro l’ente con sede a Pavia e per il quale ha ricevuto il terzo provvedimento d’arresto.
Rispondendo a una domanda del pm Antonio Pastore, uno dei titolari dell’inchiesta, Daccò ha riconosciuto: “Non sono un esperto, ma un tecnico di sanità. Sono un esperto (…) nella frequentazione da ormai 34 anni di tutti i meandri regionali per quanto riguarda la sanità e sì, so cosa bisogna fare, come intervenire, quando intervenire…”.
Nell’interrogatorio, depositato al Tribunale del Riesame in vista dell’udienza sulla richiesta di revoca della misura cautelare per lui e per il suo “amico” ed ex assessore regionale Antonio Simone (“c’è un sodalizio che dura da vent’anni”), Daccò ha spiegato in che cosa consisteva quel lavoro – per i suoi legali attività di lobbying – che gli ha permesso, sostengono gli inquirenti, di sottrarre 70 milioni di euro alle casse dell’ente, tramite contratti ‘fantasma’ per consulenze nel campo della ricerca scientifica. Una cifra consistente che, complici i vertici e i consulenti della Maugeri, tra il 2004 e il 2011, è stata ‘dirottatà all’estero, questa l’ipotesi, per creare fondi neri.
Ecco allora che ne viene fuori un quadro di una persona che ha offerto “servizi” di cui “c’era bisogno”, altrimenti, come gli aveva detto Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Fondazione, anche lui ora in carcere, “saremmo saltati”. Daccò sostiene che “il lavoro non era fittizio” e che puntava a risolvere contenziosi per tariffe non pagate per le prestazioni erogate. Come il primo incarico avuto nel ’97-’98 relativo a 23 miliardi di lire. “Allora riuscii a sbloccare questa situazione andando a parlare con il direttore generale di allora che, se non ricordo male era Beretta. Sì. Non mi ricordo più se Botti (Renato, ndr) o Beretta (Francesco, ndr)”.
Un lavoro pagato dalla Maugeri dopo “la decisione” regionale con una “percentuale” in rapporto “all’affare”, lavoro sul quale ora si allunga l’ombra della corruzione. Lo testimonia una domanda buttata là dal giudice: “Senta, lei ha mai dato denaro a soggetti collegati alla Regione Lombardia?” E lui: “Io in vita mia non ho mai dato denaro a nessuno, se non purtroppo a una persona che non c’è piu”‘.
Al di là dell’esistenza o meno di mazzette – un capitolo su cui gli inquirenti stanno scavando – dal verbale di Daccò emerge la costruzione di società di cui non ricorda nemmeno il numero e che lavorava “molto”, come lui stesso ha detto, “sull’umano, sul rapporto “con esponenti della Regione Lombardia “dove mi conoscono tutti” e dove per le Feste comandate faceva distribuire “un pacco a Natale e una colomba a Pasqua (…). Lucchina (l’attuale direttore generale della Sanità, ndr) – ha aggiunto – me l’ha mandato indietro due anni, gli altri (direttori generali, Ndr) no. Poi dopo l’ha ripreso”.
E quando aveva bisogno entravano in scena “referenti politici importanti a Roma (…), come il senatore, ora morto, Romano Comincioli del Pdl e Miccichè, che è un amico; Pippo Fallica, che è un altro amico”. Mentre in Sicilia c’erano anche l’ex Governatore Totò Cuffaro, ora in carcere per mafia, e l’ex sindaco di Palermo Cammarata.
Intanto la mattina del 26 aprile, durante l’udienza preliminare, Daccò assieme all’ex direttore amministrativo del San Raffaele Mario Valsecchi e ad altre cinque persone, si è visto rinnovare la richiesta di processo. Nel frattempo la Cassazione nelle motivazioni con cui il 10 febbraio gli aveva annullato il primo provvedimento di arresto per concorso in bancarotta ha spiegato che non è stato provato che Daccò fosse a conoscenza dello “stato di decozione” del gruppo fondato da Don Verzè, al quale sarebbero stati sottratti 45 milioni per creare fondi neri per circa sette milioni.