PALERMO – Mezzo milione di euro, questo il valore di un singolo barcone di migranti. Poi, una volta arrivati in Italia, vengono smistati verso il nord. A raccontare l’immigrazione clandestina è Nuredin Atta Wehabrebi, uno scafista eritreo di 30 anni e pentito. Lo scafista arrivò in Italia come profugo di guerra tra il 2006 e il 2007, poi fu arrestato e condannato per favoreggiamento della immigrazione clandestina. Scontata la pena, Wehabrebi è tornato libero e ha iniziato a lavorare con il Patronato per l’accompagnamento dei clandestini: da trafficante di uomini a pentito che racconta come la tratta funzioni e aiuta le autorità a fermarla.
Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera riporta le parole di Wehabrebi, che racconta il suo passato di scafista:
«Io sono arrivato in Libia a tredici anni — racconta il “pentito” —, lì sono cresciuto e ho imparato l’arabo andando a scuola… Abitavo nello stesso edificio con Abduzarak, mentre Ermias abitava lì vicino». Sono i nomi di due trafficanti che organizzano le spedizioni da Tripoli, compresa quella che si è conclusa con il naufragio al largo di Lampedusa dell’ottobre 2013, con oltre trecento morti; a pianificare il viaggio, secondo le accuse, fu Ermias.
«Ho conosciuto molti libici — prosegue Wehabrebi — e ho cominciato a operare nell’organizzazione dapprima come gestore di un bar dove ricevevo le persone che volevano andare in Italia. Lì prendevo i soldi e li ridistribuivo ai trafficanti. Sono partito per l’Italia perché avevo problemi con la polizia libica che chiedeva sempre soldi per farsi corrompere, e io non ho pagato per il mio viaggio in quanto facevo parte dell’organizzazione».
Dopo il primo arresto e il carcere, il «pentito» ha ripreso i contatti con i trafficanti e s’è trasferito a Roma, per gestire lo smistamento dei clandestini dall’Italia verso le destinazioni finali: «Durante la mia permanenza a Roma mi sono occupato di portare personalmente dei migranti in Germania, nella città di Monaco, e per ognuno ho percepito la somma di 800 euro. Preciso che dalla mia attività io guadagnavo circa 4.000 euro al mese… Venivo contattato sempre da Mohamed Sahli (un presunto complice sotto processo, ndr ) che prendeva 250 euro per ciascuna persona che riusciva a fare arrivare a Roma da me».
Dalla capitale Wehabrebi si occupava della prosecuzione dell’itinerario: «Ero io a decidere le modalità del viaggio, se in bus oppure in treno o in macchina… Ho fatto viaggi per trasportare i migranti con furgoni o in auto praticamente in tutta Europa (Germania, Olanda, Svezia, Norvegia, Finlandia e altri Paesi) ma non sono mai stato fermato dalla polizia». Tramite l’attività al Patronato, Wehabrebi s’è occupato dei ricongiungimenti familiari, attraverso la contraffazione dei certificati dello stato di famiglia e di residenza: «Ho visto numerosi di questi certificati falsi, e per molti di essi ho curato personalmente la trasmissione alla Prefettura di Agrigento».
Prima di sbarcare in Italia i migranti arrivano in Libia per la maggior parte dal Sudan, e al confine vengono presi in consegna dagli uomini di Ermias e di altri trafficanti, che li radunano nei capannoni in attesa della partenza verso le nostre coste. Secondo Wehabrebi, ogni carico frutta all’organizzazione circa 500.000 euro. «Quando si raggiunge un grande numero (di migranti, ndr ) viene reperita l’imbarcazione che arriva dall’Egitto o dalla Tunisia, e resta in mare perché la polizia libica non fa controlli in quanto corrotta. Molti dei gommoni arrivano dalla Tunisia, vengono gonfiati nelle spiagge libiche e da lì messi in mare… Ho deciso di collaborare perché ci sono stati troppi morti. Anzi, i morti di cui si viene a conoscenza sono una minima parte, tant’è che in Eritrea otto famiglie su dieci hanno avuto delle vittime dovute ai viaggi di migranti»”.