ROMA – La Corte Costituzionale manda un messaggio chiaro al governo: la “supertassa”, ovvero il contributo di solidarietà, imposto dal primo gennaio 2011 agli stipendi dei dipendenti pubblici (e dei pensionati) che superano i 90mila euro, è incostituzionale perché riguarda solo una categoria ed è quindi discriminatoria. Per cui, o il governo estende erga omnes il contributo di solidarietà, oppure non solo la “supertassa” si blocca, ma lo Stato dovrà anche ridare tutti i soldi in arretrato.
Andiamo con ordine: dal 1 gennaio 2011 è stato stabilito che gli stipendi dei dipendenti pubblici superiori ai 90mila euro annui siano ridotti del 5% e quelli che superano i 150mila euro annui del 10%. Lo stesso contributo di solidarietà è stato imposto ai pensionati con redditi sopra gli 80mila euro (tassa del 5%) e sopra i 100mila euro (tassa del 10%).
Ora la Consulta boccia come incostituzionale questo contributo di solidarietà imposto ai dipendenti pubblici (ed è evidente che la cosa si estenda anche ai pensionati) perché, dice, o vale per tutti o non vale per nessuno. Ovvero, e questo è il punto bocciato dalla Corte Costituzionale: è discriminatorio imporre una supertassa sui redditi alti solo di alcune categorie, ovvero di statali e pensionati. Il messaggio è chiaro: o si decide che tutti coloro che dichiarano redditi sopra i 90mila euro debbano essere assoggettati a una supertassa “di solidarietà”, o questo contributo cessa di esistere e lo Stato, ovviamente, dovrà restituire a dipendenti pubblici e pensionati i soldi che gli sono stati tolti in questi due anni.
La Consulta ha bocciato in particolare la parte del decreto legge n. 78 del 2010, convertito in legge, in cui si stabilisce che ”in considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1 gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti” delle amministrazioni pubbliche ”superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro”. Secondo la Consulta questa parte della norma è incostituzionale perché, come hanno sostenuto i vari Tar che hanno investito della questione la Corte, non consiste in una mera riduzione del trattamento economico, ma introduce un vero e proprio prelievo tributario a carico dei soli dipendenti pubblici.
“Qui non si è in presenza – dicono i supremi giudici – semplicemente di una modificazione (peraltro unilaterale) del contenuto del rapporto di lavoro, cioè di un prelievo a carico del dipendente pubblico, stabilito in via autoritativa con l’obiettivo finale di raggiungere la diminuzione del debito pubblico”. La Corte costituzionale conclude, dunque, che ”la normativa non può considerarsi una riduzione delle retribuzioni, come sostiene l’Avvocatura dello Stato”, ma è ”un’imposta speciale prevista nei confronti dei soli pubblici dipendenti”. E questo ”viola il principio della parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta”, poiché ”il prelievo è ingiustificatamente limitato ai soli dipendenti pubblici”.
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