Il Tribunale dei minori di Trento ha disposto di togliere ad una donna il figlio minorenne in quanto l’affetto troppo forte da parte della mamma potrebbe pregiudicare un corretto sviluppo del bambino.
Il provvedimento, secondo quanto riportano i quotidiani locali, è stato eseguito ieri a scuola da assistenti sociali, ma anche con l’intervento dei vigili urbani, perché la mamma, insieme alla nonna, tentava di non lasciare andare via il piccolo.
L’intervento è stato eseguito durante la ricreazione, quindi alla presenza dei compagni di classe, e la mamma, che è separata dal marito, è accorsa appena avvertita, con la nonna. Le due risultano poi avere seguito il bimbo fino alla struttura protetta in cui è stato condotto per l’inserimento.
Il legale della madre, che non è voluto entrare nel merito del provvedimento, ha comunque fatto reclamo contestandone le modalità e la mancanza di gradualità nell’inserimento del bimbo nella struttura assistenziale.
All’origine della vicenda che ha portato al decreto di allontanamento del bimbo dalla mamma, a cui era stato affidato, vi è una separazione con forti contrasti tra i due genitori. Il padre, secondo quanto è stato ricostruito della vicenda legale, non vede il piccolo dal 2007, fatto che secondo il decreto appena eseguito potrebbe compromettere la corretta crescita del figlio. Proprio il genitore, del resto, all’epoca della separazione era stato accusato dalla donna di molestie sessuali verso il piccolo, poi l’inchiesta penale in proposito si era chiusa con l’archiviazione.
Da allora assistenti sociali tengono sotto controllo la salute psicofisica del bambino e nel 2009, in seguito a segnalazioni di malessere del piccolo, la Procura aveva chiesto l’affidamento del minore ad una struttura protetta e per questo una perizia sulle capacità genitoriali della donna. Tale perizia, quella che ha portato ora il bimbo in comunità, ha accertato «forti condizionamenti e l’assenza di spazio per l’identità del bimbo, che la donna non riesce a immaginare separato da sé». A peggiorare ciò ci sarebbe anche il fatto che «la donna non si rende conto dei danni che così provoca e che vive gli interventi degli assistenti sociali e degli psicologi sempre come una minaccia al suo assetto familiare».