Il presidente dell’Associazione Allenatori Renzo Ulivieri contro il ministro degli interni Roberto Maroni. Con ironia tutta toscana e con dichiarazioni destinate a far discutere. Maroni, infatti, aveva stigmatizzato il comportamento dei tifosi del Livorno che, domenica 20 dicembre, avevano intonato cori contro Berlusconi. Per il ministro è un episodio grave, l’ennesima manifestazione del “clima d’odio” di cui tanto si parla.
Diametralmente opposta, invece, la visione di Ulivieri: per il tecnico, i cori contro il presidente del Consiglio cantati dai tifosi del Livorno, con l’odio non c’entrano nulla.
A Livorno, durante la gara con la Sampdoria, i tifosi di casa hanno inneggiato a Massimo Tartaglia, il feritore del premier. Come al solito, però, la giustizia sportiva ha usato la mano leggera e la società di Spinelli, nonostante la gara con la Sampdoria sia anche stata sospesa per lancio di petardi, se l’è cavata con un’ammenda di 8000 euro.
Maroni, però, non l’ha presa affatto bene e ha definito i cori pro Tartaglia «atti di inciviltà equiparabili ai cori razzisti, episodi da condannare e punire sui quali non bisogna mostrare nessuna tolleranza».
Per i tifosi livornesi, già protagonisti in passato di altri episodi discutibili come i cori su Nassirya, la difesa, inaspettata, arriva paradossalmente da uno che se pisano non è, poco ci manca. Renzo Ulivieri, infatti, è nativo di San Miniato paesino in provincia proprio dell'”odiata” (dai livornesi) Pisa. Ma, evidentemente, l’allenatore a queste cose non guarda e, comunque, l’antipatia per il presidente del Consiglio è più forte di quella per la città rivale.
Maroni, per Ulivieri, non ha capito lo «spirito della città». «Da queste parti – spiega in un’intervista a Repubblica – nessuno odia Berlusconi, al massimo ci sta un po’ sui coglioni».
In Toscana, quindi, l’ironia viene prima di tutti e il tecnico snocciola aneddoti per rinforzare la sua tesi: «Se uno viene qui e sente i discorsi della gente capisce che certi paragoni (coi cori razzisti) sono forzati. I fiorentini – racconta – un giorno andarono a Lucca, allo stadio Porta Elisa. Su uno striscione scrissero : “Porta Elisa che noi si tromba”. E le femministe nemmeno se ne accorsero».