ROMA – A spasso per l’Italia ci sono oltre 150 mila architetti, 2,5 ogni mille abitanti. Molti di più dei 100 mila in Germania, e cinque volte di più dei 30 mila francesi o inglesi. Ma l’alto tasso di disoccupazione, gli scarsi guadagni e i pochi progetti hanno quasi dimezzato le iscrizioni all’università. Non è una crisi di vocazione, negli ultimi sei anni i ragazzi italiani hanno abbandonato le facoltà di architettura (-45%) perché il gioco non vale la candela.
Il 73% dei giovani dopo sette anni di professione lavora ancora come collaboratore esterno di uno studio di terzi e con stipendi da mille euro. A raccogliere l’allarmante fenomeno è Dario Di Vico sul Corriere della Sera che riporta lo stato della professione così come fotografato dal Consiglio nazionale degli architetti in collaborazione con il Cresme.
Le cause della crisi vanno rintracciate in insolvenze e tempi i pagamento lunghi. Il rilancio degli investimenti in infrastrutture che si fa attendere e il calo netto della riqualificazione urbana. Tutto scaricato sulle nuove generazioni che così a 10 anni dal conseguimento della laurea di secondo livello guadagnano a stento 1.300 euro al mese.
Leopoldo Freyrie, presidente del Consiglio degli architetti, intervistato da Di Vico, ha spiegato:
“A determinare le nostre difficoltà hanno pesato due fattori combinati tra loro, la grande crisi e la frammentazione delle strutture. Il conto più salato lo pagano i giovani che vivono una condizione da nuovo proletariato“.
Ma allora che fare? Freyrie ammette:
Francamente non mi aspetto nessun aiuto dall’alto, dalle istituzioni e dalla politica, e quindi dobbiamo essere noi ad avviare la risalita. Dobbiamo superare l’incapacità di mettere in relazione i professionisti con l’industria. Nel frattempo, infatti, è cambiato il modo di costruire. Non c’è più un primo tempo dove si progetta e un secondo dove si esegue, il lavoro è parallelo. Si costruisce in modo integrato e contano moltissimo i brevetti. La seconda risposta alla retrocessione si chiama aggregazione tra gli studi. Solo così possono scendere i costi e aumentare le opportunità di lavoro. E lo strumento delle società tra professionisti, approvato di recente, può venire utile
I commenti sono chiusi.