CITTA’ DEL VATICANO – Una legge a tutela delle coppie gay è tabù per la Chiesa. Ma i figli di quelle coppie omosessuali vanno battezzati, se i genitori ne fanno richiesta, e accolti e amati dalla Chiesa. E’ uno dei passaggi dell'”Instrumentum Laboris”, uno studio dei vescovi sulla famiglia e sulle sfide relative ad essa messo a punto in vista dell’assemblea straordinaria del prossimo ottobre dedicata, appunto, alla famiglia.
Tutte le Conferenze episcopali sono contro “una legislazione che permette l’unione tra due persone dello stesso sesso”, si legge nel testo presentato in conferenza stampa, ma se chi vive tali unioni chiede il battesimo per il bambino, il piccolo va “accolto con la stessa cura, tenerezza e sollecitudine che ricevono gli altri bambini”.
“Circa le unioni tra persone dello stesso sesso – si legge nel documento -, molte Conferenze episcopali forniscono diverse informazioni. Nei Paesi in cui esiste una legislazione delle unioni civili, molti fedeli si esprimono in favore di un atteggiamento rispettoso e non giudicante nei confronti di queste persone, e in favore di una pastorale che cerchi di accoglierle”.
“Questo non significa, però – aggiunge -, che i fedeli siano a favore di una equiparazione tra matrimonio eterosessuale e unioni civili fra persone dello stesso sesso”. Alcune risposte ed osservazioni “esprimono la preoccupazione che l’accoglienza nella vita ecclesiale delle persone che vivono in queste unioni potrebbe essere intesa come un riconoscimento della loro unione”.
“La grande sfida – viene aggiunto – sarà lo sviluppo di una pastorale che riesca a mantenere il giusto equilibrio tra accoglienza misericordiosa delle persone ed accompagnamento graduale verso un’autentica maturità umana e cristiana”.
Il documento parla anche di eucarestia ai divorziati.
“Spesso non si coglie il rapporto intrinseco tra matrimonio, eucaristia e penitenza; pertanto, risulta assai difficile comprendere perché la Chiesa non ammetta alla comunione coloro che si trovano in una condizione irregolare”, come i divorziati risposati o che hanno una nuova unione.
“La carità pastorale spinge la Chiesa ad accompagnare le persone che hanno subito un fallimento matrimoniale e ad aiutarle a vivere la loro situazione con la grazia di Cristo”, dice l’Instrumentum Laboris del Sinodo sui divorziati risposati cui è impedita la comunione. La Chiesa non deve essere un “giudice che condanna”.
Tra le situazioni familiari “difficili” cui la Chiese deve dare adeguate risposte pastorali, secondo l’Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo dei Vescovi, ci sono le convivenza, le unioni di fatto, i separati, i divorziati e i risposati, i figli che restano soli, le ragazze madri.