TOKYO – La registrazione integrale e originale dell’audio dell’imperatore del Giappone Hirohito, che a mezzogiorno del 15 agosto 1945 annunciò la resa senza mai pronunciare la parola e ammise la sconfitta senza ammetterlo, è stata recuperata, restaurata e messa in forma digitale. Il discorso, 4 minuti e mezzo in tutto, segnò la fine sul fronte del Giappone nella Seconda Guerra mondiale: è ora disponibile, informa l’agenzia Ansa, nella versione originale grazie al recupero fatto dai vecchi dischi di vinile.
L’Agenzia della Casa imperiale nipponica, per le celebrazioni dei 70 anni della fine del conflitto, sabato 1 agosto 2015, ha messo per la prima volta a disposizione il testo integrale e originale del discorso trasmesso via radio il 15 agosto del 1945 che fu l’occasione per la quasi totalità dei giapponesi di sentire l’inedita voce dell’imperatore, pur avendo difficoltà di comprensione per il linguaggio classico usato in alcuni passaggi.
Del discorso, noto come “gyokuon hoso”, esistevano repliche dell’audio e anche un video. L’Agenzia ha detto di aver trovato la registrazione originale più corta di 10 secondi rispetto ai 4 minuti e 40 secondi finora noti, a causa forse della velocità di registrazione più elevata. Un totale di cinque pezzi anagrafici in vinile del discorso dell’imperatore sono stati conservati come parte integrante della collezione della famiglia imperiale.
L’Agenzia, che è riuscita a recuperare in forma digitale l’intero discorso lo scorso dicembre, ha anche pubblicato foto e filmati del rifugio antiaereo del Palazzo imperiale, in cui si tenne la riunione del governo che il 14 agosto 1945 vide Hirohito annunciare ufficialmente la volontà di arrendersi, ma senza dirlo, dopo i drammatici bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki:
“Il nemico ha cominciato a usare una nuova e crudelissima bomba, la cui capacità di fare danni è davvero incalcolabile, capace di uccidere moltissime vite innocenti”.
Hirohito parlò di
“sopportare l’insiopportabile”
Quando la voce dell’imperatore risuonò attraverso il Giappone e oltre i confini sulle onde corte fino alle truppe sparse per l’Asia dell’Est, era la prima volta che la quasi totalità dei suoi sudditi lo sentiva dal vivo.
La resa, ricorda Max Fisher, era ufficialmente proibita ai militari giapponesi. L’unica via di uscita, per salvare l’onore, era fare harakiri, il suicidio sulla punta di una spada. Il modo in cui i giapponesi trattavano i prigionieri non era solo crudeltà ma anche disprezzo per lo sconfitto che accettava la prigionia senza darsi la morte, come testimoniano due belissimi film, il recente Le due vie del destino e il più antico Ponte sul fiume Kway.