Libia. Allarme Onu per traffico armi leggere, affari per miliardi dollari

Deposito di armi leggere in Libia
Deposito di armi leggere in Libia

USA, NEW YORK – La Libia è oggi il Paese non produttore di armi leggere e di piccolo calibro con la maggiore concentrazioni di queste armi e alimenta un traffico che sta procurando effetti socioeconomici e di sicurezza nell’intero continente africano.

La denuncia e’ venuta in Consiglio di Sicurezza dal numero due della rappresentanza permanente italiana all’Onu Inigo Lambertini.

“L’Africa è particolarmente colpita dalla violenza armata alimentata dal traffico illecito di queste armi provenienti dagli arsenali del vecchio regime libico e che hanno contribuito alla destabilizzazione dell’intera regione”, ha detto Lambertini durante un dibattito sulla diffusione delle armi leggere e di piccolo calibro aperto dal Segretario generale Ban Ki moon.

Lambertini ha osservato che proprio in Libia si sta verificando uno dei più grossi accumuli di armi leggere che hanno fatto dell’ex Paese di Muammar Gheddafi “il primo al mondo tra i non produttori”. Il motivo principale per questo accumulo e’ il traffico, non necessariamente l’uso, ha detto il rappresentante italiano, secondo cui “il flusso illecito di armi, droga e migranti e’ concentrato in alcuni centri della Libia e sta provocando effetti socioeconomici oltre che di sicurezza”.

Data la natura transnazionale dello stoccaggio di queste armi, l’Italia ritiene che l’unica via da seguire sia di a) metterle al sicuro; b) offrire formazione alle guardie di frontiera e le polizie locali; c) rafforzare la cooperazione regionale. “Siamo pronti ad assistere la Libia, così come altri Stati africani, nell’attuare la sicurezza delle frontiere il controllo del traffico”, ha detto Lambertini.

La diffusione di armi leggere e di piccolo calibro sono il minimo comune denominatore in oltre 250 conflitti degli ultimi dieci anni in tutto il mondo, ha detto al Consiglio di Sicurezza Ban Ki moon aprendo il dibattito in cui è intervenuto anche l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al-Hussein. Zeid ha stimato il business di questo “commercio della morte” in svariati miliardi di dollari e ha aggiunto che i responsabili e i facilitatori del traffico finiscono raramente davanti alla giustizia.

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