SIBARI (CROTONE) – I “mafiosi sono scomunicati”. La ‘ndrangheta va combattuta, perché adora i soldi e non il bene comune. Questo ‘no’ lo dobbiamo soprattutto ai nostri giovani, e lo deve soprattutto la Chiesa, che ha tra i suoi grandi compiti la formazione delle coscienze. Sta tutto qui il grido di papa Francesco contro la criminalità organizzata, pronunciato dall’altare della messa nella Piana di Sibari, davanti a oltre duecentomila persone. Grido stavolta è stato, per la veemenza che il Papa ha messo nel pronunciare queste parole. E per il fatto che per la prima volta i mafiosi sono stati scomunicati da un Papa, e direttamente dall’altare.
Non si può trascurare la forza anche simbolica di queste parole per il Sud d’Italia, ma non solo, giacché le mafie corrompono il tessuto sociale di molti Paesi occidentali, e sono ormai globalizzate.
“Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro – ha detto il Papa nell’omelia – si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione. Quando non si adora il Signore – ha proseguito – si diventa adoratori del male, come lo sono coloro che vivono di malaffare, di violenza, la vostra terra, tanto bella, conosce le conseguenze di questo peccato. La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato, bisogna dirgli di no. La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi. Ce lo chiedono i nostri giovani, bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare”. “Quelli che non sono in questa strada di bene, come i mafiosi, questi non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”.
Quindi le ulteriori parole sulla scomunica ai mafiosi. Lo scorso 21 marzo, a Roma, incontrando i parenti delle vittime delle mafie, papa Francesco aveva chiesto ai mafiosi “convertitevi, o andrete all’inferno”, riprendendo in parte l’invito alla conversione che aveva costituito nel ’93 il “grido” di Giovanni Paolo II pronunciato nella Valle dei Templi ad Agrigento. Se il 21 marzo papa Bergoglio aveva scelto la preghiera e la prossimità a chi piange un familiare ucciso da una delle tante mafie, oggi ha scelto la condanna senza appello, il richiamo etico forte. Ancora più forte, considerando che prima di arrivare alla Piana papa Francesco ha sostato a Lattughelle davanti al luogo dove il 3 marzo scorso è stato assassinato padre Lazzaro Longobardi. La condanna di questi tipi di criminalità si inserisce nel solco della tradizione della Chiesa e dei papi.
Nessuno dimentica, come detto, il “grido” contro la mafia, di Giovanni Paolo II, il 9 maggio del ’93, ad Agrigento, in cui chiese ai mafiosi di convertirsi, ammonendo che un giorno sarebbe venuto il giudizio di Dio. ”La mafia” è ”una strada di morte, incompatibile con il Vangelo”, e’ stata la condanna pronunciata nel 2010 al teatro Politeama di Palermo da Benedetto XVI, il quale pure nel 2007 a Napoli condanno’ la camorra. ”Non si tratta solo del deprecabile numero di delitti della camorra – disse papa Ratzinger ai napoletani – ma anche del fatto che la violenza tende purtroppo a farsi mentalità diffusa, insinuandosi nelle pieghe del vivere sociale, nei quartieri storici del centro e delle periferie nuove e anonime, con il rischio di attrarre specialmente la gioventù, che cresce in ambienti nei quali prospera l’illegalita’, il sommerso, l’arte di arrangiarsi”.
Dal punto di vista della Chiesa cattolica, chi commette un omicidio e chi ad esso collabora ”commettono un peccato – si legge nel nuovo catechismo – che grida vendetta davanti a Dio”. Per quanto poi riguarda i mafiosi, dal 1 dicembre 1944 i vescovi siciliani hanno loro inflitto la scomunica. Essi sono cioe’ ”fuori dalla comunita’ cristiana” e quindi esclusi da tutti i sacramenti, che servono per la salvezza dell’ anima. Oggi la scomunica è stata rilanciata dal Papa, dall’altare. Un altro tipo di ”sanzione” introdotta dalla Chiesa e’ quella illustrata nel 1989 dall’ arcivescovo di Napoli, card. Michele Giordano, il quale ha dato la direttiva di rifiutare come padrino di battesimo o cresima persone notoriamente malavitose. L’ esempio è stato seguito in numerose diocesi del Sud. Data l’ importanza che il padrinato ha in quelle zone, il rifiuto è una specie di pubblica.