PARIGI – ”Ingerenza flagrante” e ”assenza completa di rispetto per le scelte democratiche dei polinesiani”. Non usa mezzi termini la Francia per rispondere al voto dell’Assemblea generale Onu che ha inserito la Polinesia francese nella lista dei territori da decolonizzare.
La pronuncia, scrive in una nota il portavoce del ministero degli Esteri transalpino, ”va contro gli obiettivi perseguiti dall”’Onu”, e in particolare ”nega di fatto in modo chiaro la volontà espressa dalla popolazione” nelle recenti elezioni generali per il rinnovo dell’assemblea regionale dell’arcipelago, che ”hanno dato una maggioranza incontestabile ai candidati favorevoli allo statuto corrente”.
Attualmente, la Polinesia francese è una collettività dotata di un’autonomia molto ampia, ma fa parte del territorio francese ed è sottomessa alla Francia per le decisioni in materia di sicurezza pubblica, relazioni internazionali e amministrazione della giustizia. Nell’arcipelago c’è un importante partito indipendentista, che ha però subito una sconfitta nelle ultime elezioni, all’inizio di maggio, in cui hanno vinto le tesi autonomiste di Gaston Flosse, che non rivendica l’uscita dalla sovranità francese ma un semplice aumento della decentralizzazione di alcuni poteri.
Ciononostante, l’area indipendentista resta forte, e gode dell’esplicito sostegno dei Paesi vicini, da sempre a favore di uno smarcamento della Polinesia dalla Francia. Ed è proprio da tre di questi Paesi, le Isole Salomone, Nauru e Tuvalu, che è arrivata la proposta di risoluzione per l’inserimento nella lista dei territori da decolonizzare, che comprende tra gli altri le Falkland, le Isole Vergini, Guam e Gibilterra, oltre a un altro territorio francese nel Pacifico, la Nuova Caledonia.
Il testo ”afferma il diritto inalienabile della popolazione della Polinesia francese all’autodeterminazione e all’indipendenza”, e invita Parigi a ”facilitare e accelerare la messa in atto di un processo equo e efficace” in materia. In linea di principio, questo dovrebbe aprire la strada a un referendum sulla questione, ma non ha valore vincolante. Dopo il voto, avvenuto per consenso, diversi Paesi, tra cui spiccano le ex potenze coloniali Olanda e Gran Bretagna, oltre agli Stati Uniti, hanno voluto ”dissociarsi” dalla decisione, rendendo così esplicito il proprio dissenso. Soddisfazione è stata invece espressa dai rappresentanti dei Paesi promotori del provvedimento, che rifiutano di considerare il risultato delle elezioni locali come un pronunciamento sull’indipendenza.