L’ultimo episodio: in Colombia l’italiano Paolo Pravisani è stato condannato a 15 anni di carcere per aver abusato del suo schiavo sessuale, un ragazzino di 14 anni, ammazzato con una overdose di cocaina. Un italiano, un vecchio di 75 anni, originario di Udine, ex pilota acrobatico, ex ingegnere areonautico. Previsani è una mostruosa “eccezione”? Purtroppo no, è solo uno dei 80 mila “maiali” italiani a caccia di bambini per il mondo. La cifra, approssimata per difetto, è fornita dalle organizzazioni internazionali che si occupano del mercato del sesso.
Ottantamila porci, tra loro sempre più ventenni e trentenni. Non solo pedofili conclamati e abituali, ma anche “gente” maledettamente comune che trova sia un affare comprarsi un bambino o una bambina per 20 dollari nelle Filippine, per 40 in Thailandia, per 30 sporchi danari nella Repubblica Dominicana. E poi in Brasile, Cina, Messico, Nepal, Sri-Lanka.
Ogni tanto ne arrestano uno, ma il rischio concreto di finire in galera è per loro purtroppo minimo. I minori vittime di sfruttamento sessuale invece nel mondo sono stimati in 2 milioni e un quarto vive in Asia. Tutti dati aggiornati ed elaborati da ‘Legale nel sociale’, un’associazione di avvocati impegnati nel terzo settore.
Un giro “d’affari” da 250 miliardi l’anno che muove carovane di schiavisti per tutto il pianeta. Il “convoglio” italiano è tra i più numerosi, appunto ottantamila, almeno ottantamila. Vanno, comprano, massacrano. Poi tornano, tra noi.
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