ROMA – E’ uno sciagurato, e onerosissimo, paradosso italiano. Mezzo milione di famigerate “baby pensioni” pesano sui bilanci dello Stato per 9,5 miliardi l’anno. I fortunati percettori hanno un’età media tra i 63,2 anni, per chi ha lasciato il lavoro nella fascia d’età 35-39 anni, e i 67 anni di chi invece ha lasciato nella fascia tra 45 e 49 anni. In pratica, nella stessa Italia dove si è forzatamente giovani a 30-35 anni perché il lavoro è un miraggio, fino al 1992 (anno della riforma Amato) c’erano giovani che alla stessa età prendevano la pensione e dal mondo del lavoro erano già usciti.
I dati, inediti e sorprendenti, sono usciti con l’aggiornamento al primo gennaio 2011 del Casellario centrale dei pensionati. Le baby pensioni sono concentrate, ovviamente, nel pubblico impiego. L’Inpdap, l’ente di previdenza del pubblico impiego, ha ancora oggi a libro paga 482.802 lavoratori con meno di 50 anni di età. Che vanno sommati ai 106.950 ex lavoratori cui l’Inps (regimi speciali e prepensionamenti) riconosce il diritto a percepire la pensione. Già, i diritti acquisiti! Quelli per cui una impiegata con figli poteva andarsene in pensione dopo 14 anni, sei mesi e un giorno, grazie al munifico omaggio , davvero lungimirante, del decreto 1092 del 1973 partorito dal governo di centrosinistra presieduto da Mariano Rumor. L’altro paradosso, o profonda ingiustizia, è che calcolando i contributi (qualche anno fa erano abbondantemente sotto un terzo della retribuzione) e la durata (mediamente 30 anni, cioè molto più della vita lavorativa) viene fuori che questi privilegiati della pensione ricevono come minimo tre volte quello che hanno versato. E il conto lo paga chi lavora, perché nel sistema a ripartizione è con i contributi attuali che si erogano gli assegni a chi sta in pensione.
“Bisogna disboscare il sistema previdenziale di tutte le rendite parassitarie ed esagerate”: parole sante, verrebbe da dire, se l’estensore non fosse lo stesso Antonio Di Pietro che, andato in pensione a 44 anni, incassa un assegno mensile da 2.644 euro lordi. Ormai da 14 anni. Del resto quello dei baby pensionati in Italia è un vero esercito, all’interno del quale si nascondono molte sorprese. Per esempio Manuela Marrone, la moglie di Bossi, che oggi ha 57 anni, prende la pensione dal 1º settembre 1992, cioè da quando ne aveva 39. L’assegno non è molto sostanzioso (766,37 euro), ma lo riceve regolarmente da 18 anni e mezzo. Per non parlare di Marrazzo, Granata, Leoluca Orlando, Frisullo ecc..
Assai più ricco l’assegno del professor Rainer Stefano Masera, oggi preside della facoltà di economia dell’Università Marconi di Roma. Nel ’95 come ministro del Bilancio nel governo Dini, quello del ribaltone, partecipò alla riforma che ha reso più severe le norme per i pensionati: severità di cui, per altro, non si trova traccia nell’assegno che l’Inps versa ogni mese al super baby pensionato Masera: 18.413 euro lordi al mese. Ma il fatto singolare è che il professor Masera, che oggi ha 66 anni, prende il vitalizio da quando ne aveva 44, cioè da 22 anni.
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