ROMA – Rating, Standard & Poor’s, “credit crunch”, è il linguaggio della crisi, le parole che circoscrivono il crollo della fiducia nel nostro sistema bancario: ma che significano in concreto? Per esempio che un piccolo imprenditore viene chiamato all’improvviso dalla sua banca per ridiscutere i termini degli interessi sul fido. In un dossier pubblicato da Marco Alfieri sulla Stampa, si cita il caso Carlo Stefanoni, titolare di una piccola azienda di mobili. La telefonata della succursale di Pesaro dove lavora gli è è giunta proprio mentre si aspettava di ricevere un’estensione a quel fido, per far fronte a un investimento produttivo in Turchia. 60 mila eur, non una cifra astronomica. Niente da fare per l’estensione e doccia fredda per la maggiorazione degli interessi sui 300 mila euro detenuto a titolo di garanzia.
Non è un caso isolato. I soldi non ci sono, sale il costo dei prestiti, le banche chiudono i rubinetti: la tempesta finanziaria dai mercati si abbatte sulle aziende, sulle imprese che, giocoforza, devono rinunciare a crescere, o ad aggiornare i piani di sviluppo, o a modernizzare gli impianti ecc… L’aumento del costo del denaro legato all’aumento dello spread del 4 per cento induce le banche a chiudere i prestiti alle imprese, conseguenza della crisi che indurrà una riduzione, se non l’arresto, della crescita ed un aumento dei fallimenti aziendali. Nel secondo trimestre 2011 i fallimenti aziendali sono aumentati del 13,1% rispetto allo stesso periodo del 2010. D’altra parte si calcola che in questo momento le banche hanno in pancia sofferenze stimabili in 100 miliardi, motivo per cui hanno subito il famigerato declassamento.
Bruno Panieri, direttore per le politiche economiche di Confartigianato ha affermato: “Nelle ultime settimane ci arrivano dai nostri associati segnalazioni di nuove restrizioni sul credito. Richieste di rientro improvvise, atteggiamenti occhiuti per una rata sforata di pochi giorni, ritardi nelle istruttorie di richiesta fidi…”. Si ha l’impressione che “si tratti di un’azione coordinata delle banche”, spiega Panieri.
La causa di questa stretta creditizia è da ricercare nell’aumento del costo del denaro, come spiega Vittorio Gandini dell’Univa, l’unione degli industriali locali, ha detto: “purtroppo l’aumento del costo del credito che ha colpito il Tesoro italiano si sta riflettendo sulle banche che, a cascata, lo scaricano sulle imprese”. L’aumento dello spread tra i titoli di stato italiani e tedeschi ha inoltre comportato un aumento di ciò che gli istituti devono pagare per collocare il proprio debito, con un’inevitabile “repricing”, cioè il riprezzamento dei crediti dei propri clienti.
Un banchiere che ha parlato alla Stampa, rimanendo però anonimo, ha dichiarato: “Dopo la riduzione del nostro rating da parte di S&P i Cds (Credit default swap) delle banche italiane, da Intesa Sanpaolo a Unicredit a Banco Popolare, sono andati alle stelle. Se oggi dovessero finanziarsi sui mercati con emissioni non garantite da collaterale e non subordinate, sarebbero costrette a pagare spread altissimi”.
L’aumento dello spread applicato agli Euribor è arrivato al 4 per cento, gravando su un sistema bancario che ormai eroga prestiti alle imprese non più al 4,5 per cento come nel primo semestre del 2011, con Unicredit e Intesa Sanpaolo che invece li contraevano rispettivamente all’1,1 per cento e all’1,8 per cento. Le sofferenze delle banche italiane sono alte, con il risultato record di 100 miliardi di euro, motivo anche del declassamento di rating da parte di Standard & Poor’s, e la stretta creditizia rischia di soffocare le imprese, con il numero dei fallimenti aziendali che dalm 2010 al 2011 è salito del 13,1 per cento.
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