ROMA – Con Jp Morgan messa sotto accusa dal procuratore generale di New York forse qualcuno inizierà a pagare per lo scandalo dei mutui subprime che ha avviato la crisi finanziaria globale. Le banche erano responsabili, le banche finora non sono state toccate: anzi, gli sforzi maggiori, come i salvataggi miliardari voluti da Obama sono stati indirizzati alla loro messa in sicurezza. “Too big too fail” (troppo grandi per fallire), troppo importanti per il funzionamento della catena economica, i colossi della finanza sembravano ammantati da un’incomprensibile aura di impunità.
La mossa del procuratore Eric Schneiderman, che ha fatto ricorso per danni contro l’istituto guidato da Jamie Dimon, è il primo e più eclatante risultato di una strategia per colpire vecchi e nuovi abusi perseguita dall’amministrazione Obama. Una task force fra organismi federali e locali che intende utilizzare la richiesta di danni contro Jp Morgan come prototipo di tutte le battaglie legali legate alla stagione dei subprime e alle eventuali repliche (non dimentichiamo il Libor truccato di Barclays, le perdite sottostimate di Jp Morgan ecc…). “Intendiamo dar seguito all’azione con altri interventi nei confronti di sponsor o sottoscrittori di titoli garantiti da mutui residenziali”, ha detto al Wall Street Journal un funzionario della procura.
La linea scelta è apparentemente morbida: non punta alla criminalizzazione, non chiede la galera e quindi un processo penale, mira piuttosto ai soldi, al risarcimento dei danni. Parliamo di decine di miliardi di dollari. Nel caso in questione Jp Morgan deve rispondere alle accuse della procura di New York a causa di Bear Stearns, attualmente controllata Jp Morgan. All’epoca dei fatti contestati, tra il 2006 e il 2007 (quando sull’orlo del fallimento fu inglobata da JP Morgan) Bear Stearns avrebbe ingannato i suoi investitori sulla vendita di titoli garantiti da mutui residenziali (subprime) altamente rischiosi.
Andò a finire male, con la spirale perversa innescata da quei mutui inesigibili che rendevano spazzatura i titoli di cui erano garanzia: le perdite per gli investitori di Bear Stearns furno quantificate in 22,5 miliardi di dollari. La procura non ha fatto, per ora, cifre: ma l’ordine di grandezza è quello. A suffragio dell’accusa, ci sono le email dei dipendenti Bear Stearns. Un messaggio aziendale interno non poteva essere più esplicito sulla cartolarizzazione incriminata: “Un sacco di m…” Fra l’altro, una legge dello Stato, il Martin Act, favorirebbe l’azione della procura: non è indispensabile esibire prove che la banca volesse ingannare i clienti.