Conti esteri: tassare il denaro in fuga si può, con l’ok della Svizzera

ROMA – C’ è un tesoro italiano nascosto, anonimo e esentasse, conservato nei forzieri delle banche svizzere. Può benissimo contribuire a ridurre il debito pubblico, ma bisogna fare presto e sottoscrivere un impegno con la Svizzera che ha tutto l’interesse a farlo come è già accaduto con Germania e Regno Unito, con cui ha stipulato due accordi fotocopia. Accordi che hanno qualche speranza di successo perché sono vantaggiosi per entrambe le parti di volta in volta tirate in causa. Gli svizzeri mantengono il segreto bancario, la Germania, per esempio, si stima otterrà già dal primo anno dell’accordo 4 miliardi di euro.

Funziona in questo modo: le banche elvetiche applicano una ritenuta alla fonte (in forma anonima) sui redditi di capitali posseduti in Svizzera da cittadini tedeschi. L’aliquota è quella del paese di origine, il 26,375% che si applica in Germania (nel Regno Unito è del 27% sui redditi da capitale, 40% su dividendi e 48% su interessi). Inoltre sugli stessi capitali viene applicata un’altra ritenuta alla fonte (la banca svizzera), sempre anonima, ma una tantum, cioè un forfeit che oscilla dal 19 al 34% a seconda dell’entità e del periodo di detenzione all’estero del capitale. Una misura di compensazione per risarcire il mancato pagamento di imposte negli anni passati. Dicevamo che Berlino solo per l’anno in corso si aspetta un gettito di 4 miliardi: con l’applicazione dell’euroritenuta del 2005, nel 2007 aveva incassato la miseria di 81 milioni di euro. L’alternativa concessa agli investitori, è quella di autodenunciarsi e dichiarare i propri redditi nel paese d’origine senza incorrere in sanzioni.

L’accordo firmato dai tedeschi il 21 settembre 2011 sarà valido a partire dal 2013 (manca la ratifica del Bundestag e un referendum in Svizzera): tuttavia, le banche svizzere, si sono già impegnate ad anticipare alla Germania 2 miliardi di franchi svizzeri  (1,6 miliardi di euro) a titolo di tassazione pregressa una tantum sui patrimoni. Non c’è motivo perché anche l’Italia non debba percorrere la stessa strada. Si tratta di andare a riprendersi un po’ di quei soldi sottratti al fisco e pazienza se in certi suoi aspetti la misura finisce con il condonare qualche responsabile del maltolto.

La grande evasione non si compie, almeno non in prevalenza, con il trasferimento all’estero del non dichiarato in Svizzera, magari con lo spallone con i sacchi di soldi in macchina. La grande evasione si costruisce, si forma all’estero, attraverso sottofatturazioni di vendite o sovrafatturazioni di acquisti, che finiscono sui conti esteri, attraverso intermediari compiacenti approfittando della discrezione della banca. Bene, con il nuovo corso adottato da Berna, se non riusciamo ad intercettare il denaro in fuga, perlomeno lo tassiamo quando arriva a destinazione. Per dare un’idea di quali cifre siano in ballo c’è il precedente (ma a tassazione minima) dell’ultimo scudo fiscale del 2009-2010: dalla Svizzera sono rientrati quasi 70 miliardi, più di due terzi del totale dei capitali rimpatriati. Quelli sottratti al fisco sono soldi nostri e il Governo sa dove sono: per andarli a prendere serve solo mettere una firma. E’ la Svizzera che spinge per ratificare altri accordi, bisogna sfruttare l’occasione. Sui negoziati bilaterali con i vari paradisi fiscali in giro per il mondo invece, finora l’Italia si è mossa con una lentezza non giustificata.

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