Censis censura Istat: “Di troppi numeri si muore”

Censis censura Istat: "Di troppi numeri si muore"
Censis censura Istat: “Di troppi numeri si muore”

ROMA – Censis censura Istat: “Di troppi numeri si muore”. Pochi giorni fa il ministro Giovannini ha pubblicamente accusato qualcuno di gonfiare i dati, dovendo ribadire che la disoccupazione giovanile, seppur grave, non è del 40% ma dell’11%. A novembre del 2012, il presidente dell’Istat, Giovannini, denunciava il “doping informativo”, il boom di sondaggi e lo stillicidio quotidiano di pillole statistiche buone per ogni evenienza. Pochi giorni fa, Il Censis ha tenuto un incontro dal titolo emblematico, “Di troppi dati si può morire”, un punto di vista non dissimile da quello di Giovannini.

Del ministro certo, non del presidente Istat se è vero che il Censis non ha risparmiato critiche all’istituto di statistica proprio per la bulimia informativa cui costringe consumatori davvero troppo gracili per reggerne le conseguenze. Alla fine i dati, le statistiche, i sondaggi cui è sollecitato in maniera permanente, i troppi numeri gli confondono il cervello fino a prender per buone le giustificazioni “certificate” dai numeri più inverosimili.

Misurazioni, rating, indicatori di agenzie internazionali che assurgono a notizie e rischiano di disorientare famiglie e imprese, più che aiutarle ad affrontare le difficoltà (Censis, “Di troppi dati si può morire”)

Solo che l’agenzia pubblica deputata a fornire un quadro statistico accurato, trasparente, comprensibile, partecipa all’innalzamento del fumus statistico che inflaziona l’offerta informativa basata sui numeri.

Nelle prime 22 settimane del 2013 l’Istat ha pubblicato 95 diverse indagini: una media di quattro indagini la settimana. Tra i primi sei mesi del 2010 e il primo semestre del 2013 la diffusione dei dati statistici dell’Istat è aumentata del 23%, in un’ottica di maggiore disponibilità di numeri per il vasto pubblico. Gli accessi al sito Istat per scaricare dati sono aumentati negli ultimi sette anni del 160% (Censis, “Di troppi dati si può morire”).

Tutto ciò che non è corretto concorre a deteriorare i rapporti collettivi, in primis un’informazione statistica spettacolare e aggressiva. Come la pioggia di numeri che precipita sul povero cittadino/elettore senza l’ombrello di una mediazione, di un decrittatore di formule spesso sbandierate con la sola volontà di esibire la forza evocatrice del numero.

Più numeri, più informazioni, più opinioni. Ma quanti dati oggi vengono correttamente interpretati? Prevale la rincorsa a comunicare il dato per ottenere l’effetto annuncio. E, nonostante i tanti numeri diffusi per comprendere i diversi aspetti della crisi e aiutare a generare policy efficaci rispetto alle questioni che il Paese deve affrontare, nessuna delle misure adottate fino a oggi ha risolto o attenuato i problemi (Censis, “Di troppi dati si può morire”).

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