Forse la politica economica norvegese potrebbe insegnare qualcosa ai leader mondiali. La Norvegia è stata infatti uno tra i pochissimi Paesi al mondo a non risentire minimamente della crisi finanziaria. Anzi, ha addirittura migliorato la sua produttività diventando uno tra gli stati più floridi al mondo. Più Stato nell’economia e una politica tesa al rafforzamento del welfare state sono state le carte vincenti.
Kristin Halvorsen, il ministro socialista delle finanze norvegese, si è infatti sempre dichiarata apertamente scettica al libero mercato portato alle estreme conseguenze. E, a differenza di tutti gli altri suoi colleghi del pianeta, ha scelto di indirizzare la politica economica della sua nazione in una direzione totalmente opposta: forte presenza del potere pubblico nell’economia e grande attenzione per le politiche del welfare state.
Mentre gli investitori di tutto il mondo durante il boom immediatamente precedente alla crisi finanziaria, non facevano altro che vendere e rivendere i propri titoli presi dal panico di borsa, il Paese scandinavo ha deciso invece di andare controcorrente. La Halvorsen ha autorizzato infatti il fondo sovrano di ricchezza norvegese, pari a 600 miliardi di dollari, ad un aumento graduale delle proprie riserve attraverso l’acquisto di un programma di circa 60 miliardi di dollari.
È stata una decisione giusta. La Norvegia è riuscita infatti a evitare la crisi e il suo Pil nazionale è addirittura cresciuto di ben tre punti percentuali. Ma non solo. Il governo norvegese vanta anche un surplus di bilancio pari all’11 per cento e il suo debito pubblico, inoltre, è pressoché inesistente.
Situazione tutt’altro che felice quella invece degli Stati Uniti. Oggi lo stato di Obama si trova infatti con un disavanzo di bilancio pari quasi al 12,9 per cento del Pil e con un debito schizzato ormai a 11 trilioni di dollari.
La Norvegia è una piccola nazione, è vero. Con una densità demografica (4,6 milioni di abitanti) decisamente inferiore a quella americana. Inoltre ha il vantaggio di essere uno tra i più grandi esportatori di petrolio. Ma nonostante la costante diminuzione registrata l’anno scorso dal prezzo dell’oro nero, il governo norvegese non sembra per nulla preoccupato.
Anziché sperperare la sua ricchezza, la Norvegia ha fatto sì che le entrate derivanti dalla vendita del petrolio andassero direttamente a rimpinguare il fondo di ricchezza sovrano nazionale (è un fondo di investimento statale, un veicolo finanziario posseduto da Stati sovrani che detengono, gestiscono e amministrano fondi pubblici investendoli in un più ampio set di strumenti finanziari. I capitali traggono di solito origine dalle riserve valutarie in eccesso e quindi non accrescono il debito pubblico del Paese).
Ora il fondo sovrano di ricchezza norvegese è uno tra i più grandi al mondo. E questo, nonostante la perdita del 23 per cento registrata lo scorso anno per la frenata degli investimenti.
Una politica del risparmio, quella norvegese, che invece contrasta nettamente con quella del Regno Unito che durante gli anni del boom finanziario ha a dir poco dissipato la maggior parte dei profitti che gli derivavano dalla vendita del petrolio del Mare del Nord. Dati alla mano: dal 2003 le spese del governo britannico sono aumentate dal 42 per cento del Pil ad addirittura il 47 per cento. A differenza della Norvegia che, invece, ha diminuito notevolmente le spese di bilancio passando da un 48 per cento del Pil al 40.
«In Norvegia», ha dichiarato Anders Aslund, un esperto di studi scandinavi del Peterson Institute for International Economics di Washington, «c’è un gran senso di responsabilità. Se sei chiamato per fare tanto e sei pagato per fare quello, hai un dovere nei confronti dei tuoi elettori».
Ma come vivono i norvegesi? E, soprattutto, qual è la loro filosofia di vita, i loro comportamenti in riferimento all’indebitamento? La risposta di Erik Wekre, scrittore norvegese di thriller, spiega tutto: «I norvegesi dicono: “in questo momento non possiamo spendere; sarebbe come fare un torto alle generazioni future».
Ritornando ai numeri, il prodotto interno lordo pro capite norvegese è pari a 52 mila dollari all’anno.
«Le banche norvegesi», sostiene Arne J. Isachsen, economista della scuola d’amministrazione aziendale di Norvegia, «sono sane e operano sempre con grande prudenza». Esse rappresentano infatti solo il 2 per cento dell’economia nazionale e concedono credito solo sotto forti garanzie.
E secondo un recente rapporto dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) i norvegesi sarebbero anche i cittadini dei paesi industrializzati che lavorerebbero meno di tutti. Ad affermarlo, Knut Anton Mork, un famoso economista della Handelsbanken di Oslo che aggiunge «il lavoro qui non manca, è abbondante. E il governo è sempre presente perché aiuta soprattutto i cittadini più disagiati».
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