ROMA – L’occhio del Fisco non risparmia il lavoratore dipendente: se c’è discrepanza tra versamenti in banca e dichiarazione dei redditi, l’accertamento scatta immediato e l’onere della prova è a carico suo. Cioè, intanto l’amministrazione giudica quei versamenti che non tornano come sottratti all’imponibile, presuntivamente pensa che ci sia puzza di evasione e sta a a te dimostrare che a quelle somme non si debbano applicare prelievi fiscali.
Tutto ciò lo stabilisce la Corte di Cassazione con una sentenza che estende (cioè non vale solo per i lavoratori autonomi) la presunzione di imponibilità in caso di incongruenze e se questa incongruenza, o scollamento, c’è, l’accertamento diviene un obbligo per l’amministrazione tributaria (“Accertamenti bancari dilatati” titola Italia Oggi).
Nel caso concreto, la sentenza n. 8047 del 3 aprile 2013, fra l’altro, non dà ragione alla amministrazione fiscale, ma anzi, riconosce le ragioni della società destinataria dell’atto di accertamento che ha dimostrato come le somme incriminate non fossero soggette a prelievi fiscali. Solo che la sezione tributaria della Corte ha voluto specificare che a) in presenza di incongruenze si deve presumere il tentativo di evadere il fisco nascondendo l’imponibile, b) che questo vale per tutti, anche per i lavoratori dipendenti.