ROMA – Tra poco più di un mese gli atti di accertamento dell’Agenzia delle Entrate diventeranno immediatamente esecutivi. Si salta a piedi pari la procedura dell’iscrizione a ruolo (con relativa notifica e possibilità di ricorso) e i tempi tra l’emissione della cartella e l’obbligo di pagamento si riducono da oltre un anno, come succede oggi, ad appena 60 giorni. Bisognerà pagare subito. Tutto, o metà della somma se si presenta un ricorso, come prevede il decreto del 2010. Un meccanismo che da una parte garantisce incassi sicuri allo Stato, tanto è vero che da quel provvedimento sono attesi 400 milioni di euro per il bilancio del 2011, ma che dall’altra suona come una vera e propria beffa per i contribuenti, visto che una volta fatto il ricorso, nel 41% dei casi (dato medio del 2010) la spuntano contro il fisco.
In questi giorni si è parlato in lungo e in largo di Equitalia, del rapporto che lo Stato creditore ha, attraverso l’Agenzia delle Entrate e le società di riscossione, con il cittadino contribuente. Si sono versati fiumi d’inchiostro per raccontare e protestare contro i metodi definiti vessatori che Equitalia utilizza per ottenere i pagamenti che le spetterebbero. Si sono inscenate proteste di piazza, mezzi assalti alle sedi di Equitalia stessa e persino il sequestro di un incaricato che era andato a consegnare una cartella esattoriale. Proteste, verbali in questo caso, che vengono da destra e da sinistra, e anche dal centro in una singolare sintonia tra Pd, finiani ed elettori del Pdl. Proteste probabilmente, anzi sicuramente giustificate, che però si scontrano con i risultati portati a casa da Equitalia: quasi 9 miliardi di euro incassati nel 2010 con un più 15% rispetto all’anno precedente. I metodi usati per incassare questi denari sono discutibili, in alcuni casi persino brutali, ma portano nelle casse dello Stato cifre consistenti che altrimenti rimarrebbero nel mare magnum dell’evasione che caratterizza il nostro paese. Sull’onda delle proteste trasversali, comprese quelle formulate da Confindustria e dai sindacati, il Governo sta pensando a misure che limitino lo strapotere che Equitalia ha e che, a volte, usa a sproposito. Si pensano e si cercano norme e limiti che riequlibrino il rapporto tra cittadino debitore e stato creditore. Ma mentre si lavora e si discute sul come e sul quando intervenire in questo senso Equitalia godrà, da luglio, di un nuovo potere.
Dal mese prossimo infatti gli atti di accertamento diventeranno immediatamente esecutivi, con tempi di pagamento ridotti a soli 60 giorni. Si dovrà pagare tutto e subito quindi, fatto salvo il caso in cui il cittadino debitore decida di presentare ricorso, ma anche in questo caso andrà comunque versato metà dell’importo indicato. Trascorsi poi i 60 giorni dalla notifica, l’atto diventerà “titolo esecutivo” e la relativa azione esecutiva (si chiama così in burocratese) sarà affidata all’agente di riscossione, meglio noto col famigerato nome di Equitalia. Il governo ha provato a metterci una pezza, introducendo con il decreto sviluppo la possibilità (finora esclusa) di presentare alle commissioni tributarie un’istanza per la sospensione dei pagamenti, ma per un massimo di 150 giorni. Un margine quasi ridicolo, considerati i tempi di lavoro dei giudici tributari, che per giunta non hanno preso affatto bene la decisione del governo. Secondo il presidente della Commissione di giustizia tributaria, Daniela Gobbi, il decreto determinerà «un aumento esponenziale» delle istanze di sospensione e «il forte congestionamento» delle Commissioni, che già lavorano male. Se a questo si aggiunge il non trascurabile fatto che per le udienze di sospensione i magistrati tributari non vengono pagati, si fa presto a capire le ragioni dello sciopero e del prevedibile caos che regnerà, tra qualche mese, nelle commissioni tributarie. E se questo non bastasse va poi tenuto a mente il sottodimensionamento ormai strutturale dei giudici (nel 2010 erano 3.731, quasi mille di meno dell’organico fissato per legge a 4.668 magistrati), l’enorme mole di lavoro (nel 2010 sono stati presentati 361 mila ricorsi e ne sono arrivati a giudizio 290 mila, per un valore complessivo di 14 miliardi di euro) e di arretrati (la Commissione tributaria centrale, il secondo grado di giudizio, ha esaminato nel 2010 53 mila ricorsi, ma gliene restano da affrontare ancora 209 mila). Un sistema che fa acqua da tutte le parti, dove però nessuno ha pensato, fin qui, di mettere le mani. Neanche per risolvere alla radice i conflitti di interessi che fioriscono nelle commissioni tributarie, dove siedono giudici che al tempo stesso esercitano l’attività di commercialista o di consulenza d’impresa. E non sono casi rari, se si pensa che l’anno scorso, quasi il 15% dei giudici in servizio, per l’esattezza 440, sono finiti sotto l’esame della commissione disciplinare (355 di loro proprio per non aver dichiarato attività potenzialmente conflittuali).
Sul tavolo del governo ci sarebbero interventi «pesanti» per rendere meno iniqua la riscossione delle imposte e migliorare il rapporto con i contribuenti come la non pignorabilità della prima casa di abitazione o del mezzo di lavoro dei contribuenti, la correlazione tra l’entità delle pretese del fisco ed i beni che possono essere sottoposti ai pignoramenti, la gradualità degli atti esecutivi. In attesa di questi però, da luglio, il cittadino debitore sarà ancora più impotente nei confronti di Equitalia.
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