LOS CABOS – MESSICO – Alla fine il “firewall”, il paracadute finanziario deciso dal Fmi per l’Europa è stato sottoscritto anche dai paesi emergenti. 456 miliardi di dollari totali, i Brics hanno fatto la loro parte. Non sono i 600 che si aspettava Christine Lagarde ma l’impasse al G20 è stato superato. Ora però Brasile, Russia, Cina, India esigono che le riforme sulla governance dell’assemblea dei paesi più industrializzati cambi. Vogliono più potere, un voto che pesi di più. Esigono che il G20 inizi a contare di più del ristretto circolo del G8.
D’altra parte, anche in Occidente è necessario confrontarsi con una domanda scomoda. Perché i paesi emergenti, da India a Cina da Brasile e Russia, dovrebbero pagare il conto della crisi europea? Al vertice che riunisce le 20 principali economie del pianeta in Messico la questione è emersa con prepotenza, tanto più che i Brics (è l’acronimo che riunisce i più rappresentativi degli emergenti) hanno tergiversato pericolosamente prima di sottoscrivere la loro quota parte dei miliardi di dollari a protezione dell’euro, lo scudo a difesa della dell’Europa deciso dal Fondo Monetario Internazionale.
E non è difficile comprendere le ragioni di tanta freddezza in paesi che hanno fatto sforzi da gigante per far uscire milioni di poveri dall’indigenza sfruttando una crescita sostenutissima, sempre a due cifre: quello sviluppo non è più così arrembante, anzi e le prospettive incerte ribaltano la quasi indifferenza ostentata fino all’anno scorso. Hanno paura di dover affrontare a breve brutte situazioni sociali, non vogliono buttare risorse per ripianare errori e disastri economici dei paesi ricchi e di cui non sono responsabili. A settembre scorso i Brics decisero tutti insieme di comprare un bel po’ di titoli di Stato europei e investirono in Germania per rafforzarne il paese più solido. Ora, quella generosità non è più conveniente, i problemi interni sconsigliano aiuti ai ricchi. E il ritorno alle risposte protezionistiche alla crisi temuto da Obama è qualcosa in più di una generica avvisaglia.
La cronaca del summit messicano riporta un intervento di un funzionario economico argentino che ha preso la parola per esprimere i suoi dubbi catalizzando l’immediata solidarietà di brasiliani, cinesi, indiani. La giovane sherpa argentina, come la descrive l’inviato del Corriere della Sera, merita di essere ascoltata: “Non so esprimermi in un inglese raffinato come il vostro, ma credo che riusciate a capirmi quando dico che i Paesi emergenti, che ancora sono molto poveri, soffrono più degli altri la crisi economica: la risoluzione del G20 deve rispecchiare questa realtà”.
L’Argentina non gode del credito più alto presso i vari interlocutori mondiali, ma il messaggio è arrivato forte e chiaro. Per le orecchie degli emergenti, già prone ad accoglierne la protesta implicita. Per europei ed americani, tutti impegnati a far pressing su Angela Merkel perché si mostri meno intransigente. D’altra parte, se anche gli emergenti frenano, da dove cominciamo per aumentare la crescita? L’aumento dei salari in Germania potrebbe essere un primo passo. Grilli, il sottosegretario che accompagna Monti in Messico, assicura che la Germania ha promesso. Non può giurare che abbia iniziato a farlo.