ROMA – La locomotiva tedesca corre da sola, esporta merci in tutto il mondo ma lascia al palo il resto del treno europeo. L’export tedesco ha segnato cifre da record nel 2011, crescendo dell’11,4% rispetto al 2010. Lo rende noto l’ufficio di statistica federale Destatis. La Germania ha esportato merci per il valore di 1060,1 miliardi di euro, superando per la prima volta la soglia dei 1000 miliardi. Solo il 40% dell’export tedesco è destinato ai paesi dell’area euro: dal 1999 la Germania ha iniziato a guardare verso est: verso cioè i mercati vicini dell’Est europeo, quelli lontani della Cina, in aggiunta alla penetrazione nei mercati dei ricchi paesi produttori di petrolio.
Gli ultimi aggiornati dati sull’esportazione tedesca confermano la tesi esposta dall’economista Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera dell’8 febbraio. “La Germania è troppo grande per l’Europa”: alla luce del nuovo fiscal compact fortemente voluto da Berlino, Reichlin invita sostenitori e detrattori a guardare più in profondità l’eccezione tedesca, in costante surplus commerciale faccia a faccia con il deficit permanente della periferia (in particolare i cosiddetti Giips, Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna).
Dicono i detrattori del fiscal compact: lo squilibrio è determinato dalla bassa competitività del sud europeo combinato con una domanda di consumi e investimenti troppo debole in Germania. Quindi il rigore dei bilanci (o almeno non solo quello) non aiuterà a far crescere la competitività dei paesi in deficit né ad aumentare la domanda di consumi in Germania.
Reichlin sostiene che la Germania, almeno dal ’99 gioca una partita tutta sua, difende interessi che non coincidono con quelli europei, guarda all’orizzonte vasto del mondo e non a quello più ristretto dell’area euro. La quale, non è “un’economia chiusa agli scambi intra Unione, ma è un’economia aperta al commercio con il resto del mondo”. La Germania gioca su uno scacchiere più ampio e le nuove misure adottate con il fiscal compact ne accentueranno la vocazione globale. Il fiscal compact, continua il ragionamento Reichlin, riuscirà verosimilmente a scongiurare la crisi finanziaria, ma soprattutto consentirà a Berlino di continuare a beneficiare di un tasso di cambio nominale ancora favorevole. E pazienza se i Giips, stretti dai vincoli di bilancio, non avranno risorse per consumare e sostenere l’export tedesco.
C’è tutto il mondo che lo farà, visto che già oggi più della metà delle merci esportate superano i confini europei. Bisognerà rassegnarsi a un’Europa a diverse velocità, con paesi con interessi divergenti: allo stato attuale solo Berlino trae vantaggi da una logica di rapporti “intergovernamentali”, dove vince sempre il punto di vista tedesco. Bisogna tornare, conclude Reichlin, “a pensarsi insieme in negoziati multilaterali. Con incentivi diversi tra Stati membri è difficile immaginare come questo possa accadere.”