Giochi d’azzardo: i governi europei fanno cassa. Ecco che arrivano le liberalizzazioni

Fare cassa, in tempo di vacche magre, è tra i primi e più gravosi impegni dei leader politici. Trovare i soldi, quando non ce ne sono o sono sempre di meno, è la condizione sine qua non per fare andare avanti gli ospedali, le scuole, i ministeri, per non alzare le tasse, per non licenziare nessuno e, un giorno, forse, sperare di essere rieletti, restare al potere.

Da che mondo è mondo, nelle manovre economiche di ogni segno e colore, un pugno di misure si ripetono immancabilmente, governo dopo governo, crisi dopo crisi. La loro perdurante efficacia lascia credere che anche i primi, antichissimi, agglomerati urbani della Mesopotamia dovessero ricorrevi e che un giorno ancora lontano anche i nostri remoti discendenti vi ricorreranno.

Condoni edilizi, scudi fiscali e i grandi e piccoli colpi di spugna sulle irregolarità degli evasori, dei contribuenti smemorati, degli immobiliaristi fai da te, sono stati la grande specialità del ministro Giulio Tremonti. Oltre a questo tanto criticato stratagemma, ce n’è un altro, che non manca mai nelle pieghe dei commi della finanziaria: l’innalzamento, o l’estensione, delle tasse per i giochi di azzardo e affini.

L’Italia, l’Italia dai conti sempre in rosso, l’Italia che annaspa nei suoi debiti, è stata, in questo campo all’avanguardia dell’Europa. Il gioco d’azzardo on-line fornito da operatori privati era fino a pochi anni fa dichiarato illegale in quasi tutti i paesi dell’Unione. I giocatori incalliti avevano dunque due possibilità, o adoperare esclusivamente i giochi d’azzardo messi a disposizione, in regime di monopolio, dallo stato, oppure navigare sulle pagine web di operatori installati in paesi lontane, magari con regimi fiscali e giuridici diversi. Inutile specificare che questa seconda opzione, adottata da migliaia di persone, finiva per privare, agli occhi dei governanti, di una cospicua fonte di entrate pubbliche. In altre parole, un mercato non liberalizzato favoriva comportamenti, illegali o paralegali, che non permettevano in ultima istanza l’imposizione delle tasse.

Le considerazioni etiche che negli Stati Uniti rendono il gioco d’azzardo su Internet ancora illegale, non hanno mai fatto presa sui governi europei. La prudenza che ha per lungo tempo frenato i leader europei dall’aprire il mercato è stata dettata da una diversa considerazione: il timore che la liberalizzazione dei giochi d’azzardo potesse diminuire le entrate delle lotterie e dei giochi d’azzardo di stato. Quando si è capita infine la multiforme ingovernabilità di Internet – cioè che in nessun modo si poteva impedire i giocatori di scommettere altrove – ha condotto tutti, ma proprio tutti, a nuovi consigli. Un trionfo della Realpolitik.

Solo quattro anni fa i dirigenti di Bwin, sito austriaco di scommesse, durante una visita a Parigi erano stati prelevati dalla polizia e messi in carcere. Un mese fa, il governo francese ha cambiato strategia, ed ha autorizzato la Bwin, e tutte le altre compagnie private di giochi di azzardo, ad esercitare legalmente la loro attività in Francia, in perfetta concorrenza con gli organismi a partecipazione pubblica. Altri paesi europei, come Svizzera, Spagna, Germania hanno già compiuto questo passo, mentre ormai è solo una questione di tempo per la Danimarca e la Grecia. Per una volta, l’Italia, non fa figura di fanalino di coda nelle classifiche europee, visto che la liberalizzazione del nostro mercato data già del 2007.

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