Manovra e previdenza: “I giovani andranno in pensione a 70 anni”

Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi

I giovani di oggi potranno andare in pensione solo a 70 anni. Ad annunciare l’ultimo intervento in agenda in materia di previdenza è il quotidano “La Repubblica” secondo cui la novità è contenuta in un rapporto tecnico sulla previdenza che conteggia “il combinato disposto della chiusura delle finestre della manovra e del ‘regolamento’ Sacconi-Tremonti sull’innalzamento dell’età di vecchiaia e anzianità in relazione alle aspettative di vita, a cominciare dal 2015. In totale fino al 2050 si tratta di un intervento da 86,9 miliardi, che aumenterà l’età di anzianità da due a cinque anni e di circa altrettanto quella di vecchiaia”.

Il risultato per le nuove leve del mondo del lavoro? Potranno andare in pensione di anzianità a 66 anni e in pensione di vecchiaia a 70 anni. Questa mossa è solo l’ultima nella querelle Roma-Bruxelles sulle pensioni rosa e l’età in cui le donne possono dire addio a fabbriche e uffici, dopo che l’Unione europea ha imposto l’innalzamento dell’età pensionabile delle dipendenti pubbliche da 60 a 65 anni già dal gennaio 2012, mentre nei piani del governo Berlusconi l’adeguamento è previsto per il 2018.

La Commissione Ue non intende concedere sconti all’Italia bocciando ogni proposta di gradualità. Come lo stesso ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha ammesso al termine dell’incontro con la vicepresidente dell’esecutivo europeo, Viviane Reding, svoltosi a Lussemburgo lunedì. “Non c’é alcuno spazio per la trattativa”, ha spiegato il ministro, sottolineando come “siamo di fronte a qualcosa che non dipende dalla volontà del governo”. Il messaggio è rivolto soprattutto ai sindacati, che saranno ascoltati nei prossimi giorni e che vengono invitati a “non scioperare contro la pioggia”. Perché di fronte alla “ferma posizione” di Bruxelles nulla può essere fatto.

“In una democrazia le sentenze di una Corte si rispettano”, ha infatti tagliato corto la commissaria Reding, sottolineando come “sia più che ragionevole aver dato all’Italia tempo fino al primo gennaio del 2012”. A questo punto la parola passa al consiglio dei ministri che – ha spiegato Sacconi – giovedi “dovrà decidere cosa fare”.

E appare quasi scontato che le norme con cui il governo italiano si adeguerà alla sentenza della Corte Ue di giustizia del novembre 2008 saranno inserite nella manovra da 24 miliardi: “E’ questo il veicolo più tempestivo che attualmente abbiamo a disposizione”, ha affermato il ministro del lavoro. Anche perché secondo i calcoli dei tecnici del ministero non adeguarsi subito alla sentenza della Corte Ue costerebbe all’Italia molto caro: i conti non sono ancora stati fatti, ma in linea di massima il rischio è quello di una sanzione fino a 714.000 euro al giorno, dal giorno in cui è stata emessa la sentenza.

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