ROMA – “Quella di Goldman Sachs è diventata unna cultura tossica e distruttiva, nell’ultimo anno ho visto 5 executive chiamare i clienti pupazzi…” Greg Smith, primo pentito di Wall Street, ha lasciato la banca d’investimento più importante (famigerata?) del mondo, dopo 12 anni: era stufo marcio, così il suo addio lo ha annunciato dalle colonne del New York Times. E’ l’atto d’accusa contro gli gnomi di Manhattan più circostanziato che si ricordi. Proviene dall’interno, Smith è il primo insider a rivelare le strategie di un gruppo che (è questa la sua opinione) agisce senza etica, in cui l’interesse dei clienti è l’ultima delle preoccupazioni, che pensa a solo a fare soldi, non rendendosi conto che sui libri di storia si scriverà di quando Lloyd Blankfein portò un’istituzione centenaria alla dissoluzione.
La risposta di Blankfein non è tardata ad arrivare: l’amministratore delegato messo sul banco degli imputati ha fatto pubblicare una nota finita immediatamente sul Financial Times, quindi una lettera formale inviata ai suoi dipendenti. Non è bastato ridimensionare a dirigente di medio livello l’ormai ex vicepresidente della divisione trading sui derivati di stanza a Londra. Né derubricare le accuse a semplice sfogo di un dipendente, cosa non inusuale in un gruppo che ne conta trentamila. Il veleno stillato dall’ex manager è più simile a quello di un figlio deluso che a quello di un amante respinto. Smith ha trascorso 12 anni in Goldman, è arrivato lì direttamente da Stanford. E’ stato un formatore e un reclutatore.
Smith era frustrato per un ruolo che gli stava stretto e non considerava alla sua altezza? E’ animato da propositi di vendetta? Non ha ricevuto i bonus che si aspettava? Tutto può essere, ma certo, complice la crisi, l’immagine di Goldman Sachs era tutt’altro che specchiata. Solo nel 2010, ad aprile, la Sec, la Consob americana, aveva accusato di frode la banca: Goldman fu costretta a pagare 550 milioni di dollari a causa di prodotti derivati incomprensibili. Il dirigente Fabrice Tourre si vantò addirittura di essere l’unico al mondo a capire le “mostruosità” che aveva creato. E’ per questo che Paul Krugman chiese provocatoriamente che differenza passasse tra Madoff e Goldman, rispondendo causticamente che il primo aveva solamente saltato qualche passaggio rispetto alla seconda. Truffe, questo facevano, se il paragone regge.
Goldman Sachs, la piovra-vampiro finita sulla copertina di Rolling Stone, resta uno dei bersagli principali degli Occupy Wall Street e di tutti gli indignados del mondo. Forse, la banca si è solo adeguata al nuovo modo di dirigere gli affari che si è imposto negli ultimi 15 anni: una ricerca ossessiva del profitto a discapito degli interessi degli stessi clienti, che ha fomentato l’irrazionalità dei mercati, che ha messo in ginocchio l’economia di grandi paesi. Questa non può essere una attenuante.