ROMA – Quelli che ci rimettono sono i meno abbienti, mentre i ricchi ne escono praticamente quasi indenni. Il paradosso del rincaro Iva costerebbe una perdita di 170 euro l’anno anche a chi dispone di un reddito di appena 7 mila euro. L’ora x scocca lunedì prossimo: se il governo non riuscirà a trovare una soluzione alternativa al rialzo dell’aliquota dal 21 al 22%, il nono in quarant’anni di vita dell’imposta sui consumi, a pagarne gli effetti più devastanti saranno soprattutto i meno abbienti.
Il Cer (Centro europa ricerche) in uno studio messo a punto con Confcommercio calcola che avverrà qualcosa di simile a quanto successe nell’autunno 2011: l’Iva salì dal 20 al 21% e il contraccolpo si distribuì sui meno abbienti, con un ammanco massimo di quasi l’1,8% per il 10% dei più poveri.
L’Ue, ma anche i mercati, tengono gli occhi ben aperti. ”L’importante è che qualunque alternativa sia finanziata in modo credibile”, ha detto il portavoce del commissario agli affari economici Olli Rehn rispondendo ad una specifica domanda sull’Iva. Certo il lavoro dei tecnici non è stato facile. Le coperture prevederebbero un puzzle di misure, passibili di modifiche fino alla fine: al momento si sarebbe raggiunta la cifra di 1 miliardo, che consente uno stop all’aumento per il trimestre luglio-settembre.
Lo studio del Cer riconosce che in effetti “un incremento dell’Iva ordinaria produrrebbe un aggravio della tassazione sicuramente più elevato per le famiglie più abbienti”, dal momento che spendono di più. Ma se si parla di equità e del “peso” che un aumento Iva dal 21 al 22% avrebbe sul reddito a disposizione non vi è dubbio alcuno che “l’Iva sia un’imposta tanto più regressiva quanto più stringenti diventano i vincoli di liquidità delle famiglie, ovvero per quelle più bisognose ma anche per larga parte del ceto medio”.
Il primo quinto di reddito destina circa il 38% della propria spesa alle categorie di beni e servizi colpite dall’Iva ridotta, al 4 o 10%. Mentre le famiglie più ricche spendono il 40% del loro paniere in beni e servizi con l’Iva al 21%”. Come auto, borse, valige, gioielli, mobili, parcelle di avvocati o commercialisti. Misurando l’Iva rispetto al reddito risulta evidente l’effetto regressivo: se aumenta l’aliquota, questa colpisce tutti, indipendentemente dal reddito e pesa dunque di più su chi ha di meno. Senza tralasciare che tra i beni tassati al 21% ci sono il vino, le scarpe, l’abbigliamento, il cellulare, i giocattoli, i detersivi, i tovaglioli. Ma soprattutto la benzina.
Il tempo stringe: la fine del mese si avvicina e dare certezza agli operatori economici significa anche non prendere decisioni a ridosso di una scadenza che richiede l’adeguamento dei registratori di cassa e dei sistemi di fatturazione. Intanto non mancano appelli affinché si corregga il paradosso del rincaro Iva.