ROMA – Jobs act, contratti a tutele crescenti. Dubbio Renzi: per sempre o per 3 anni. Mettendo sullo sfondo lo spauracchio/tabù dell’articolo 18 (“riguarda solo 3mila casi”) Matteo Renzi, insieme al ministro del Lavoro Giuliano Poletti, puntano alla stesura definitiva del jobs act, incentrato sul contratto a tutele decrescenti. Su 4 dei 5 punti della legge delega ci sarebbe l’accordo di maggioranza: reta il nodo della sospensione emergenziale dello Statuto dei Lavoratori.
Riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e politiche attive, sulla semplificazione delle procedure e degli adempimenti, sulla maternità e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, il dossier è pronto per affrontare il Parlamento (si spera entro la fine dell’anno). Resta la partita sulla reintegra nel posto di lavoro: licenziabilità solo per discriminazione nel contratto a tempo indeterminato, oppure solo per i primi tre anni dall’assunzione.
Ora la partita si riapre. I centristi della maggioranza (Ncd, Sc, Udc, Pi, Svp) appoggiano tutti l’emendamento del senatore giuslavorista Pietro Ichino che, all’interno dell’adozione di un testo unico semplificato, prevede «un contratto di lavoro a tempo indeterminato a protezione crescente». In caso di licenziamento (salvo quello discriminatorio) al lavoratore spetterebbe solo un’indennità proporzionale all’anzianità aziendale (un mese per ogni anno è l’idea di Ichino, ma l’emendamento non entra nei dettagli).
Varrebbe per tutte le nuove assunzioni, giovani e meno giovani. Il Pd invece chiede un contratto «a tutele crescenti» solo per tre anni, dopo di che si tornerebbe all’attuale situazione. Ma quanto vale l’articolo 18? Ieri il premier ha fornito i primi dati del monitoraggio che il ministero si era impegnato a fare: «I casi che vengono risolti sulla base dell’articolo 18 sono circa 40mila e per l’80% finiscono con un accordo. Dei restanti 8.000, solo 3.000 circa vedono il lavoratore perdere».
Quindi – ha tagliato corto Renzi – «noi stiamo discutendo di un tema che riguarda 3.000 persone l’anno in un paese che ha 60 milioni di abitanti». In effetti c’è da ricordare che l’articolo 18 vale solo per i lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti. Ovvero, secondo una recente stima della Cgia di Mestre, il 2,4% del totale delle imprese italiane e il 57,6% dei lavoratori dipendenti occupati nel settore privato dell’industria e dei servizi, circa 6,5 milioni su oltre 11 milioni di operai e impiegati. (Giusy Franzese, Il Messaggero)