ROMA – Trovare un lavoro è difficile. Se poi sei gay o brutta lo è ancora di più. Lo dicono i numeri del rapporto della Fondazione Rodolfo De Benedetti, anche se i diretti interessati non avevano certo bisogno di cifre nero su bianco per rendersene conto.
Se invece ci vogliamo attenere alle cifre, il rapporto dice che i gay hanno il 30% in meno di possibilità di venire richiamati dopo un primo colloquio di lavoro. E se le donne lesbiche non sono toccate da questo tipo di discriminazione per il loro orientamento sessuale subiscono però un trattamento analogo se non sono belle: in generale, le donne brutte hanno il 18% in meno di possibilità di essere richiamate.
A confermarlo è anche uno studio di Eleonora Patacchini, Giuseppe Ragusa e Yves Zenou, “Dimensioni inesplorate della discriminazione in Europa: religione, omosessualità e aspetto fisico”. I tre hanno inviato oltre duemila curriculum fittizi in varie aziende italiane, allegando foto e, in alcuni casi, stage o esperienze professionali in associazioni di difesa dei diritti delle persone omosessuali.
Il risultato è stato lampante. “Se confrontati con i maschi eterosessuali, gli uomini omosessuali hanno il 30% in meno di probabilità di essere richiamati per un colloquio. Le donne eterosessuali e omosessuali, invece, non mostrano significative differenze nei tassi di richiamata. L’effetto penalizzante individuato per gli uomini è mitigato dal fatto di avere curricula “migliori” (più qualificati)? Niente affatto. È anzi vero il contrario: l’effetto negativo di un’identità omosessuale è addirittura più forte nel caso di persone con profili professionali più qualificati”.
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