ROMA – Manovra a ottobre: pensioni e spending review, il taglio sale a 23 miliardi. Stamattina (19 agosto) Matteo Renzi ha liquidato l’eventualità di una richiesta di congelamento (oltre al taglio sulle pensioni) per un anno dell’obbligo di ridurre il deficit (3% sul Pil max) con un tweet provvisto di hashtag si presume definitivi (“#nonesiste; #maddeche”).
E, tuttavia, se il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan nega categoricamente correzioni in corsa per il 2014 (“rispetteremo gli impegni”), è al 2015 che guarda con apprensione, visto l’ennesima doccia fredda sui conti e l’abbassamento delle stime presentate (e sui cui era stata impostate le leggi di bilancio, a questo punto da riformulare).
A ottobre, quando il Governo dovrà presentare la Legge di Stabilità e l’aggiornamento del Def, non basterà più la manovra da 20 miliardi che, per effetto della mancata crescita (e messi in cassa i 5 mld di minor spesa per interessi sul debito per il calo dello spread), è già salita a 23 miliardi. Sul Messaggero, Michele Di Branco ricapitola le voci di entrata in via di aggiornamento sottolineando come, arrivati al dunque, sarà necessario quantificare e soprattutto qualificare gli ambiti dove arriverà la scure del commissario Cottarelli (17 miliardi di tagli della spesa pubblica).
Siamo prossimi, cioè, al momento delle scelte politiche, nel senso che si dovranno imporre presumibilmente sacrifici a vaste categorie e pezzi rilevanti di elettorato, con conseguenze immaginabili nei rapporti di maggioranza (leggi tagli a pensioni e salari dei dipendenti pubblici, di cui pure si vocifera con insistenza). Mancano all’appello, fatti i conti, 5 miliardi dalla spending review, una volta considerati il taglio da 3 miliardi delle società pubbliche (da 8mila a mille), i 7 mld di risparmi sugli acquisti di beni e servizi della Pa, i 5-600 mln dalla sanità informatizzata,
I numeri parlano chiaro: per l’anno prossimo servono 10 miliardi per rendere strutturali gli 80 euro di bonus, 8 miliardi per correggere il deficit di mezzo punto e almeno altri 5 per una serie di spese tra cui la Cig in deroga, le missioni militari e gli ammortizzatori sociali. Fanno 23 miliardi, appunto. Da coprire con i 17 miliardi della spending review ai quali si aggiungono 2 miliardi di tagli alle detrazioni fiscali e altri 5 per effetto della minore spesa per interessi sul debito pubblico causata dal calo dello spread.
Se questo è il quadro, si capisce bene la ragione per la quale il governo considera ormai vitale la trattativa-battaglia ingaggiata con Bruxelles sulla flessibilità dei parametri europei. Anche solo ottenere il congelamento per un anno dell’obbligo di ridurre il deficit offrirebbe al governo un risparmio di 7-8 miliardi da utilizzare per finanziare misure per la crescita. Soldi con i quali Palazzo Chigi potrebbe concretizzare promesse (taglio all’Irap, bonus fiscale esteso agli incapienti ad esempio) che al momento sembrano scritte sulla sabbia. (Michele Di Branco, Il Messaggero)
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