ROMA – Lavoratori in mobilità, lavoratori incentivati ad uscire ad un passo dalla pensione, penalizzazioni per gli under 62, innalzamento del limite massimo di età per evitare il licenziamento: restano quattro nodi da sciogliere nella riforma delle pensioni. Quattro “casi di criticità” aperti, per le quali il ministro Fornero ha chiesto un monitoraggio alla Camera, per verificare, innanzitutto, le coperture finanziarie adeguate. La manovra prevede l’applicazione delle vecchie regole previdenziali per quei lavoratori in mobilità o titolari di prestazioni straordinarie da parte di fondi di solidarietà. Una platea di 65 mila persone, dato che scaturisce dalla disponibilità finanziaria fissata dal governo e che la Fornero giudica sufficiente (240 mln per 2013, 630 per il 2014, un picco di 1220 per il 2016 e poi a scendere negli anni successivi).
Non ci sono solo i lavoratori in mobilità, però. Aggiustamenti e correzioni riguarderanno (ne ha parlato esplicitamente Monti) anche gli “esodati”, coloro che a un passo dalla pensione hanno accettato gli incentivi delle aziende per uscire. L’incentivo serviva a compensare i contributi mancanti: con le nuove regole dovrebbero aspettare anche 5 anni, o comunque lunghi periodi nella terra di nessuno dei senza reddito e senza assegno previdenziale. Anche per loro la copertura, se l’osservatorio istituito alla Camera darà parere positivo.
C’è poi il capitolo delle penalizzazioni sulla quota di assegno calcolata con il sistema contributivo per i lavoratori precoci che vanno in pensione prima dei 62 anni. Adesso la penalizzazione è fissata all’1% per gli ultimi due anni prima dei 62 e al 2% per gli anni precedenti: ci sarà un ritocco verso il basso, una penalità meno onerosa per il pensionato. Che terrà conto anche delle differenze di genere: le lavoratrici maturano il diritto alla pensione dopo 41 anni e 1 o 3 mesi, un anno in meno dei colleghi maschi. Vantaggio che però le donne scontano sull’asssegno: questa differenza verrà limata.
Classe ’52: i dipendenti privati che compiono 60 anni nel 2012 possono andare in pensione al compimento del 64° anno se abbiano maturato le vecchie quote o se donne abbiano almeno 20 anni di contributi. Si profilerebbe, però, una discriminazione che va sanata, per le donne nate nella prima metà del ’52 che possono andare in pensione solo nel 2015. Così come, discriminate, rispetto allo stesso correttivo, sarebbero le dipendenti del settore pubblico e le lavoratrici autonome, penalizzate anch’esse dalla fine delle pensioni di anzianità.
L’ultimo capitolo riguarda l’innalzamento a 70 anni dell’età che permette il licenziamento per raggiunti requisiti previdenziali. Secondo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, espressamente citato nella manovra, coinvolge le aziende con più di 15 dipendenti. Anche qui, si tratta di rivedere il limite per tutti gli altri, che per ora è rimasto fissato a 66 anni.
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